Robert Anton Wilson

Ebrei … in dialogo. È noto che, soprattutto nel mondo medievale, prevalse la tendenza verso una diffusa ostilità nei confronti del mondo ebraico, in un'atmosfera di sospetto o di disprezzo: il giudeo era ritenuto 'infedele'; l'ebreo è il deicida; non è più il popolo eletto, la sua condizione di miseria e la diaspora stessa sono ritenute il castigo divino contro i discendenti di Giuda. Le sacre rappresentazioni e, in particolare, la narrativa, che di tale temperie sono l'immediato riflesso, mostrano perciò spesso immagini del 'giudeo' negative e degradanti: l'ebreo è ingannatore, usuraio, truffatore, corruttore delle anime dei cristiani, in una visione costantemente alterata. Se ci "sono de' maliziosi e falsi, sono tra' judei, e tanto hanno bene quanto ingannano con falsità li cristiani", riassume Franco Sacchetti; sono sempre descritti con una precisa volontà di deformante caricatura: e sono ritratti che pur non hanno lasciato un segno tanto infamante e duraturo nel tempo, quale invece lasciò il profilo dell'usuraio ebreo, tradotto in Italia da Ser Giovanni Fiorentino (Il Pecorone (IV, 1), con la vicenda della libbra di carne pretesa dal debitore in caso di insolvenza alla scadenza sottoscritta di fronte alla legge. È questa, certamente, la visione dominante anche nella narrativa toscana del Trecento, fondata su una molteplicità di esempi e destinata a avviare una tradizione che si sarebbe protratta nel tempo. Eppure, nonostante ciò, non si può tacere che anche in tale contesto, non mancano eccezioni, che, se non bilanciano certo una prospettiva ormai consolidata, aprono pur sempre qualche lieve spiraglio di luce. Sono immagini rare, che appaiono spesso in racconti che tendono a privilegiare una riconosciuta, sottile capacità dell'ebreo di affidarsi al valore della parola, quale strumento strategico per risoluzioni inattese all'interno di un complesso, inquietante intreccio: scelte capaci non solo di rovesciare il prevedibile esito negativo di una difficile situazione, ma anche di offrire, al fine, un ritratto, a suo modo, positivo dell'ebreo stesso, tanto lontano dalle più diffuse narrazioni. L'ebreo, pur mercante, usuraio o prestatore, è presentato sotto un profilo che rivela la sua saggezza, la sua intelligenza e la sua onestà, in un'immagine che, spesso, attraverso la parola e la pronta capacità interlocutoria, è capace di risolvere insidiose situazioni e di evitare pericolose conseguenze. Predominano, per la maggior parte, narrazioni costruite tutte sulla struttura di un dialogo tra personalità tra loro lontane, ma che, nella soluzione dialogica, riescono a superare le divergenze sociali o di pensiero e acquistare in tal modo una rilevanza che è altrove negata. Anche la figura dell'ebreo può assumere allora una funzione 'positiva', un prospetto che tanto lo allontana dalle degradanti immagini di molta produzione antigiudaica, diffusa in Italia e nel resto d'Europa. Il più famoso dialogo-colloquio, destinato poi a restare nel tempo come esemplare, è certamente quello, notissimo, sostenuto da Melchisedech giudeo, quando viene messo a confronto con il feroce Saladino che lo interroga sul valore delle fedi monoteistiche. Entrò anche in Italia la celebre legenda dei tre anelli, diffusa in mille varianti in tutta la narrativa europea: apparve dapprima nel Novellino (73), poi nell'Aventuroso ciciliano di Bosone da Gubbio (IIIe), infine nella terza novella del Decameron del Boccaccio. Un "ricco giudeo, il cui nome era Melchisedech, il quale prestava a usura in Alessandria", viene messo alla prova, con sottile strategia, dal celebre Saladino, che lo interroga su quale religione sia la migliore: Melchisedech, sa uscire da una situazione che poteva rivelarsi pericolosa, affidandosi alla nota parabola dei tre anelli, simili tra loro, ma tra i quali uno solo è autentico, delegando a Do stesso la risposta giusta: "E cosa vi dico, signor mio, delle tre leggi alli tre popoli date da Dio padre, delle quali la quistion proponeste: ciascun la sua eredità, la sua vera legge e i suoi comandamenti dirittamente si crede avere e fare, ma chi se l'abbia, come degli anelli, ancora ne pende la quistione". Da allora, il saggio usuraio di Alessandria è rimasto, fino al Nathan di Lessing, nella memoria collettiva, come un modello di 'accortezza' e di 'saviezza', le qualità tanto apprezzate dal grande narratore toscano.

l'evento del mese the event of the month mai di discutere se re Lear, stanco e vecchio, faccia bene o faccia male a delegare il proprio potere alle figlie e a dividere fra di loro il regno, con le disastrose conseguenze che ne derivano. Alla fine, il grande teatro di Shakespeare, pur prodotto di un'epoca, è più dramma di interiorità che dramma di azione. Per questo Amleto o Otello parlano ancora non tanto e non solo ai nostri occhi, quanto alla nostra mente e alla nostra coscienza. Ma a voler scrutare l'animo più intimo del poeta ci si deve rivolgere ai Sonetti. Non tanto per spiare nella biografia di un uomo -che forse di autobiografismo non si tratta -quanto per ascoltare il sentimento del moderno che parla con voce propria, rifiutando i modelli e gli stereotipi del sonetto petrarchesco ed elisabettiano. La sua voce entra nella gabbia formale del sonetto e fa implodere il genere in modo che più sovversivo e moderno non si può immaginare. Il testo che per lei meglio sintetizza la poetica e l'etica del Bardo. Difficile scegliere. Ma se devo proprio farlo, dico La tempesta. Forse non sintetizza, ma dà un ultimo messaggio. Ciascun testo parla per sé in Shakespeare, e ciascun testo dice qualcosa di diverso. Alla fine ne risulta una visione della vita caleidoscopica. La tempesta mostra come, vicino al termine dell'esistenza, o quanto meno alla fine della sua attività di drammaturgo, Shakespeare metta in scena la ricerca di conciliazione. Conciliazione con gli altri e con la vita, dopo la distruzione, dopo gli inganni, dopo i tradimenti, dopo le battaglie dell'esistenza. Ma la vita è quello che è, non c'è spazio per l'illusione. L'espiazione dei personaggi in quello spazio teatrale che è l'isola utopica de La tempesta avviene attraverso altri tradimenti, altri inganni, altre cospirazioni. L'armonia finale, che prelude al ritorno alla realtà nel Ducato di Milano, è un'armonia parziale e incompleta. È più una speranza che una realtà acquisita. Il pentimento dei personaggi e il perdono loro concesso sono un miracolo prodotto dalle arti magiche del mago Prospero, e avvengono sull'isola incantata, dove tutto è possibile, anche l'impossibile. Ma anche nella realtà di Milano si confermerà la stessa armonia? E già Antonio, il fratello traditore di Prospero, per nulla pentito, è un'incrinatura pronta a trasformarsi, nella realtà, in un nuovo e distruttivo squarcio dell'ordine raggiunto. Il teatro ha risanato la realtà, ma si tratta di illusione. Il testo shakespeariano ha sempre due facce: non la semplicistica soluzione dell'utopia, ma la complessa e aperta tensione del reale. Celebrare è sempre un azzardo, specie quando si cade nella retorica vuota, magari quando non si sa neppure esattamente che cosa si stia celebrando. Oltretutto, Shakespeare è già 'celebre' di per sé, non ha bisogno di essere solennizzato. Ha bisogno di essere frequentato, studiato e goduto per quello che è e per quello che propone. Il problema, piuttosto, è come leggerlo oggi, perché rileggere, tasia. Un'operazione azzardata, oltre i limiti del lecito. Proprio questa carenza di informazioni sul più grande drammaturgo inglese ha fatto sospettare che a scrivere le sue opere sia stato qualcuno che non voleva legare il proprio nome alla sconveniente attività di drammaturgo. All'epoca, infatti, l'attività teatrale era considerata un mezzo di corruzione per le fanciulle timorate di Dio; i puritani scagliavano anatemi infuocati contro il teatro. Quella che oggi consideriamo la produzione letteraria dell'epoca d'oro della letteratura inglese era considerata allora un basso intrattenimento per il popolo ignorante. Alla fine, tuttavia, chi cerca di dimostrare che dietro Shakespeare si nasconde Edward de Vere, conte di Oxford, o il drammaturgo Christopher Marlowe, o Francis Bacon, o John Florio, o Sir Henry Neville, non riesce a produrre prove o documenti che siano più credibili di chi si batte per lo Shakespeare di Stratford-upon-Avon. Quale la modernità letteraria di Shakespeare? Quali gli elementi che lo rendono così universale e contemporaneo? Shakespeare è sorprendente per la capacità di leggere nell'animo dei personaggi. E non si tratta di un'affermazione ad effetto. I suoi testi, talora anche i più semplici, i più diretti, le commedie che si rivolgono di più al gusto popolare, mostrano dietro alle azioni la contraddizione dei sentimenti, la tensione fra apparenza e realtà, lo scarto fra le parole e i sentimenti, o fra le parole e i fatti, insomma, la difficoltà di leggere e interpretare il reale. La realtà dei suoi testi è sempre mobile, non facilmente afferrabile. L'equilibrio e l'ordine sono momenti di gratificazione spesso fittizia. Quando si scava sotto la superficie del testo ci si rende conto quanto l'armonia sia un'illusione, e anche quando la si raggiunga promette un'esistenza precaria. Un po' come nella vita. Non a caso un grande critico americano, Harold Bloom, ha affermato che Shakespeare ha inventato l'umano. Shakespeare non ama gli stereotipi, non ama modelli morali prestabiliti. Il testo shakespeariano pensa in proprio, ti fa pensare e ti mette in crisi. Ama molto le domande, poco le risposte certe e definitive. Non finiremo

l'evento del mese the event of the month mai di discutere se re Lear, stanco e vecchio, faccia bene o faccia male a delegare il proprio potere alle figlie e a dividere fra di loro il regno, con le disastrose conseguenze che ne derivano. Alla fine, il grande teatro di Shakespeare, pur prodotto di un'epoca, è più dramma di interiorità che dramma di azione. Per questo Amleto o Otello parlano ancora non tanto e non solo ai nostri occhi, quanto alla nostra mente e alla nostra coscienza. Ma a voler scrutare l'animo più intimo del poeta ci si deve rivolgere ai Sonetti. Non tanto per spiare nella biografia di un uomo -che forse di autobiografismo non si tratta -quanto per ascoltare il sentimento del moderno che parla con voce propria, rifiutando i modelli e gli stereotipi del sonetto petrarchesco ed elisabettiano. La sua voce entra nella gabbia formale del sonetto e fa implodere il genere in modo che più sovversivo e moderno non si può immaginare. Il testo che per lei meglio sintetizza la poetica e l'etica del Bardo. Difficile scegliere. Ma se devo proprio farlo, dico La tempesta. Forse non sintetizza, ma dà un ultimo messaggio. Ciascun testo parla per sé in Shakespeare, e ciascun testo dice qualcosa di diverso. Alla fine ne risulta una visione della vita caleidoscopica. La tempesta mostra come, vicino al termine dell'esistenza, o quanto meno alla fine della sua attività di drammaturgo, Shakespeare metta in scena la ricerca di conciliazione. Conciliazione con gli altri e con la vita, dopo la distruzione, dopo gli inganni, dopo i tradimenti, dopo le battaglie dell'esistenza. Ma la vita è quello che è, non c'è spazio per l'illusione. L'espiazione dei personaggi in quello spazio teatrale che è l'isola utopica de La tempesta avviene attraverso altri tradimenti, altri inganni, altre cospirazioni. L'armonia finale, che prelude al ritorno alla realtà nel Ducato di Milano, è un'armonia parziale e incompleta. È più una speranza che una realtà acquisita. Il pentimento dei personaggi e il perdono loro concesso sono un miracolo prodotto dalle arti magiche del mago Prospero, e avvengono sull'isola incantata, dove tutto è possibile, anche l'impossibile. Ma anche nella realtà di Milano si confermerà la stessa armonia? E già Antonio, il fratello traditore di Prospero, per nulla pentito, è un'incrinatura pronta a trasformarsi, nella realtà, in un nuovo e distruttivo squarcio dell'ordine raggiunto. Il teatro ha risanato la realtà, ma si tratta di illusione. Il testo shakespeariano ha sempre due facce: non la semplicistica soluzione dell'utopia, ma la complessa e aperta tensione del reale. Celebrare è sempre un azzardo, specie quando si cade nella retorica vuota, magari quando non si sa neppure esattamente che cosa si stia celebrando. Oltretutto, Shakespeare è già 'celebre' di per sé, non ha bisogno di essere solennizzato. Ha bisogno di essere frequentato, studiato e goduto per quello che è e per quello che propone. Il problema, piuttosto, è come leggerlo oggi, perché rileggere, tasia. Un'operazione azzardata, oltre i limiti del lecito. Proprio questa carenza di informazioni sul più grande drammaturgo inglese ha fatto sospettare che a scrivere le sue opere sia stato qualcuno che non voleva legare il proprio nome alla sconveniente attività di drammaturgo. All'epoca, infatti, l'attività teatrale era considerata un mezzo di corruzione per le fanciulle timorate di Dio; i puritani scagliavano anatemi infuocati contro il teatro. Quella che oggi consideriamo la produzione letteraria dell'epoca d'oro della letteratura inglese era considerata allora un basso intrattenimento per il popolo ignorante. Alla fine, tuttavia, chi cerca di dimostrare che dietro Shakespeare si nasconde Edward de Vere, conte di Oxford, o il drammaturgo Christopher Marlowe, o Francis Bacon, o John Florio, o Sir Henry Neville, non riesce a produrre prove o documenti che siano più credibili di chi si batte per lo Shakespeare di Stratford-upon-Avon. Quale la modernità letteraria di Shakespeare? Quali gli elementi che lo rendono così universale e contemporaneo? Shakespeare è sorprendente per la capacità di leggere nell'animo dei personaggi. E non si tratta di un'affermazione ad effetto. I suoi testi, talora anche i più semplici, i più diretti, le commedie che si rivolgono di più al gusto popolare, mostrano dietro alle azioni la contraddizione dei sentimenti, la tensione fra apparenza e realtà, lo scarto fra le parole e i sentimenti, o fra le parole e i fatti, insomma, la difficoltà di leggere e interpretare il reale. La realtà dei suoi testi è sempre mobile, non facilmente afferrabile. L'equilibrio e l'ordine sono momenti di gratificazione spesso fittizia. Quando si scava sotto la superficie del testo ci si rende conto quanto l'armonia sia un'illusione, e anche quando la si raggiunga promette un'esistenza precaria. Un po' come nella vita. Non a caso un grande critico americano, Harold Bloom, ha affermato che Shakespeare ha inventato l'umano. Shakespeare non ama gli stereotipi, non ama modelli morali prestabiliti. Il testo shakespeariano pensa in proprio, ti fa pensare e ti mette in crisi. Ama molto le domande, poco le risposte certe e definitive. Non finiremo

This study seeks to contribute theoretically and practically to the field of arts management. Specifically, it explores issues in opera management. In particular, it examines an identified understanding of the opera canon as one of the key issues for opera managers today in overcoming the communication issues of the opera performance. The contemporary opera audience has different demands regarding the perception of the operatic show. It is a challenge for the opera manager to create a proper program strategy to secure both the traditional operagoers’ enjoyment and at the same time, to attract a new audience.

This short essay, starting from the mimetic theory of the French anthropologist René Girard, gives an interpretation of The Merchant of Venice. The story of to the contract signed between the Jew Shylock and the merchant Antonio takes place in the city of Venice and stages a real mimetic crisis that the Venetians overcome thanks to the sentence inflicted on the Jew, a real scapegoat of events. The essay, analyzing the relationship between sacrifice and justice, raises the question whether the playwright's verses do represent an attempt to reveal the meaning of what René Girard has defined as texts of persecution or, rather, if they should be considered one of them.

Margarethe Wallmann's staging of Puccini's Tosca at the Vienna State Opera premiered on April 3, 1958, with set and costume design by Nicola Benois, starring the famous soprano Renata Tebaldi in the title role. Since then, it has been performed over 600 times at the Vienna State Opera with a list of celebrated sopranos as Floria Tosca-still wearing the same "old dress"; meanwhile, six more copies of the same design have been carefully conserved and altered by the seamstresses and wardrobe ladies of the repertory tailor shop on the sixth floor of the Vienna State Opera. This paper explores the anachronism of this dress and staging in the ephemeral and fast changing reality of theatre and opera: the luxury not to change and renew. Contents

The idea for a special issue of Theatre and Performance Design, 'On Models', arose from our previous scholarly work on models in theatre and architecture and our practice backgrounds in both disciplines, and we would like to thank the journal editors, Jane Collins and Arnold Aronson, for taking up our suggestion and making this double issue possible. Our most recent research on models, published as The Model as Performance: Staging Space in Theatre and Architecture (Bloomsbury, 2018), showed that the set design or scenographic model had only been dealt with marginally in the disciplinary discourses of theatre and performance studies. This seemed to be in distinct contradiction to a trend we observed during the last decade that increasingly sees models as scenographic elements on the stage as well as models becoming a fixture in scenographic exhibitions. Additionally, to us, these models represented a new, different kind of model and our curiosity was stirred. In The Model as Performance, we call this new kind of model the 'autonomous model' and define it as an artefact from which no further artefact is produced and as one that has been conceptualised and designed as its own reality, and as its own world. A close look at the history of both theatre and architecture models revealed that the autonomous model could be traced back to the Italian Renaissance, and we followed its appearances from Scamozzi's Teatro all'Antica at Sabbioneta to recent scenographic installations at the Prague Quadrennial for Performance Design and Space (PQ) and the Venice Architectural Biennale. Our call for papers for 'On Models' thus asked for contributions that would give specific insights into contemporary and historical modelling practices, and that would address both physical and digital models as objects of research, objects of experimentation and, last but not least, as objects of desire for maker and viewer. The responses were swift, and it was evident from the contributors' comments that we had tapped into a rich yet under-researched field of practice that both designers and scholars were eager to address. As a result, 'On Models' is a curated collection of scholarly articles, personal reflections and visual essays that speaks from practice and about practice in an international context and from a range of disciplinesfrom scenography to architecture and lighting design, and from the perspectives of designer, archivist, historian and theorist. Our article, 'Cosmopoiesis, or: making worlds. Notes on the radical model worlds of Anna Viebrock', opens this issue and unfolds the complex terrain of the model as one of the designer's central media of ideation, communication and representation but also with its definition of the model as possessing the capacity for cosmopoiesis, or worldmaking. This notion is exemplified by the next contribution from raumlaborberlin, titled 'experimental arrangements', in which the large-scale structure functions as a self-referential model that can operate as a catalyst for sociospatial change. The Berlin-based

Taking Jorge Luis Borges’s short story “The Circular Ruins” as a starting point, the current article assesses the presence of gnostic ideas in the work of the Argentinian author. After pondering the context and sources for Borges’s knowledge of gnosticism, and providing an overview of different Borgesian short stories that include gnostic motifs, it focuses on an analysis of several central notions in “The Circular Ruins.” A comparison between ancient and modern interpretations serves to evaluate the new meaning that gnostic motifs acquire in the literary framework created by the Argentinian writer. It concludes that Borges’s reception and re-elaboration of gnostic thought helps him both to express some of his central philosophical preoccupations and to update these ancient myths, making them accessible for modern readers.

Taking Jorge Luis Borges's short story "The Circular Ruins" as a starting point, the current article assesses the presence of gnostic ideas in the work of the Argentinian author. After pondering the context and sources for Borges's knowledge of gnosticism, and providing an overview of different Borgesian short stories that include gnostic motifs, it focuses on an analysis of several central notions in "The Circular Ruins." A comparison between ancient and modern interpretations serves to evaluate the new meaning that gnostic motifs acquire in the literary framework created by the Argentinian writer. It concludes that Borges's reception and re-elaboration of gnostic thought helps him both to express some of his central philosophical preoccupations and to update these ancient myths, making them accessible for modern readers.

The chapter examines the sociological content of The Merchant of Venice. It particularly focuses on the behavior of three characters: Antonio, the merchant (to whom the work is dedicated, although he is not the main character), the beautiful and rich Portia (whom Bassanio, Antonio's best friend, intends to marry) and Shylock (the Jewish financier who lends Antonio a large sum, that the merchant will transfer to Bassanio, so that he could present himself to Portia in an appropriate manner according to the customs of the time). Antonio's attitude is an almost incomprehensible state of sadness: Antonio is actually so attached to Bassanio to suffer in advance for his future loneliness (when Bassanio will marry Portia), being beside himself with a feeling of friendship following the classics of the literature. Portia is the most dynamic character of the comedy: she is bound to her father's will, but she smartly succeeds in standing out as a wise sharp woman. Her character shows Shakespeare's interest towards proto-feminist forms of behavior. Conversely, Shylock is a narratively mighty, but tormented, character: mistreated and insulted by Antonio, he considers the merchant's request of loan as a chance for revenge, hoping that he will not be able to pay it back. In this case, Shylock could take his revenge by removing a pound of meat from him. Although his resentment and thirst for revenge make Shylock odious to the spectator and the reader, Shakespeare manages to perform a prodigy introducing, at the same time, a victim of violence and prejudices, and, as such, an emblem of injustice suffered not only by the Jewish people, but by all the oppressed.

The thesis is an exploration of the realm of the inner space by transcending the beta state * (normal waking consciousness) and reaching out to the subtler states of being, exploring their nature. The inner space is the mind itself, which hides inside infinite number of worlds/realities. The subtler states are also known as altered states of consciousness and can be induced by different means-meditation, breathing, fasting, trance, hypnosis, brain entrainment, sensory deprivation, sensory stimulation, etc. After one cuts through the 3D aspect of reality, one finds that there is a hidden potential waiting to be explored. Human being is in a process of transcending its self-defined limits. Consciousness can expand and reach unknown dimensions. The purpose of such expansion is meeting with the higher self or aspect of that higher self, existing in dream states and other planes of existence. Reaching to that self connects the human to inner potential, making him/her whole undivided human being. THE MAGIC OF DISAPPEARANCE AND REAPPEARANCE * Beta brainwave refers to brain´s electrical activity and it corresponds to specific Hz. For more information, check the glossary. * According to the spiritual teacher George Gurdjieff most of the humans live in deep sleep, which is a synonym for ignorance. Humans need to put efforts in order to awaken. (Ouspensky, 1949) And he was not the only one who said that. 6 INTERVIEWER: In Nova Express you indicate that silence is a desirable state. BURROUGHS: The most desirable state. In one sense a special use of words and pictures can conduce silence. The scrapbooks and time travel are exercises to expand consciousness, to teach me to think in association blocks rather than words. I've recently spent a little time studying hieroglyph systems, both the Egyptian and the Mayan. A whole block of associations-boonf!-like that! Words-at least the way we use them-can stand in the way of what I call nonbody experience. It's time we thought about leaving the body behind. (Burroughs and Gysin, The Third Mind) * In Tibetan Buddhism there are 6 bardo states-transitional states of consciousness. For more info check glossary. † In the Pali language this is the word for emptiness. Pali is the earliest language of Buddhism. 9 Automatism was also used by the Surrealists to provide information from the subconscious mind. As Andre Breton says: Language has been given to man so that he may make Surrealist use of it (1969, 32). The technique is relinquishing control and allowing the thoughts to come freely. This was how many great pieces of surrealist poetry were produced. William James named that technique stream of consciousness. Julia Cameron uses the same technique in her method The Artist´s Way for unblocking the creative energy. VOICES The language of the nonself is a conglomerate of different narrative voices. They represent the true nature of the nonself. These selves express the ultimate nature of the mind. In their essence the voices are human and non-human. Each zone has its own voices, revealing its psychological characteristics. The eclectic style of the thesis applies to the citation as well. The citation is a combination of different styles. The footnotes are explanatory notes, which can contain quotes too. For more information check the legend on page 12. The references of the separated direct quotes (highlighted in gray / italic) are found in the end of the thesis, marked by a page number. General rule: KEEP YOUR EYES OPEN. If there are mistakes, scrambled texts or something strange in the text it is all intentional, as perfection arises from non-perfection. BURROUGHS: A book called Think and Grow Rich.

The following essay explores the issues of idealism, ontology, and the fantastical in the work of Jorge Luis Borges. Borges' fascination with philosophical idealism began when he was introduced to philosophy as a child by his father, the thinker within this school who most influenced him being, as he admits, George Berkeley. Examining Borges' attitude towards Berkeley's radical idealism, the discussion focuses on its ontological dimension, demonstrating how Berkeley engages in a reductivist move in which ontology-in its Greek, Parmenidean sense-is replaced by epistemological processes in light of the dictum esse est percipi ("to be is to be perceived"). Within this framework, the question of the ontological status of the fantastical object in the Borgesian text is investigated, idealistic and fantastical objects being analyzed and compared in his short story "Tlön, Uqbar, Orbis Tertius." In a more general sense this comparison demonstrates that, considered from an ontological perspective, literary fantastical objects are not in fact idealistic objects but more closely resemble the paradoxical objects in Meinong's theory, thus constituting what Todorov calls the "hesitation experienced by a person [reader] who knows only the laws of nature, confronting an apparently supernatural event."

T he story "El Aleph" is fundamentally spatial in its concerns, and offers a range of insights into not only the nature of human spatiality itself but also the ways in which space and literary expression relate to each other. Despite this, the profound implications of the spatial theme in the story have not by any means been explored adequately in commentaries on Borges's work, and what the story reveals about the role of place and space in literature has not been fully elucidated. 1 One way of expressing the challenge posed by "El Aleph" is to say that it invites us to reflect on the nature of spatiality by imagining a universe that is "placeless," in a manner that resembles the way the same author's attempts in "Tlön, Uqbar, Orbis Tertius" to explore the nature of the material world by positing the existence of a world in which there are no material objects. "El Aleph" could be said to go further than the latter story, however, since, in tandem with an intellectual exploration of placelessness, it offers us the emotional drama of an understated, but still poignant, love story. These two dimensions of the narrative are not kept separate, however; rather, the themes of "spatial presence" and locatedness are woven into the fabric of the narrator's expression of his very human longing for his beloved Beatriz. From the multiple references to Beatriz's portraits, 1 This article is a slightly altered version of the first chapter of my book, Borges and Space, reproduced with permission of the publishers, and enriched by the discussion that took place after it was delivered as a guest lecture at the Borges Center in the University of Pittsburgh in February 2012; my thanks to Daniel Balderston for that invitation. He visto, como el griego, las urbes de los hombres, Los trabajos, los días de varia luz, el hambre; No corrijo los hechos, no falseo los nombres, Pero el voyage que narro, es … autour de ma chambre.

Besides "classical" (and legitimate) readings, Kafka's text seems to be open to a nonconventional interpretation able to point out the intrinsically "existential" trait of the text. The point of view is given by man's finite structure. This structure implies that man must always decide within a "situation", with all the joint conditionings and limits that the situation itself puts on knowledge and reflection. Because of his finite structure, man is, either consciously or unconsciously, accountable towards others, and this is an absolute accountability since God is its constitutive principle. This is an existential situation that obliges K., and each of us, to wonder about the sense of life: judge's "little note book" is a metaphor of that. Such a question could be advanced just on the "border" of reason, which imposes to overcome canons of rational "legality": no general and abstract Law, either legal or ethical, could "clear" man once for all. Meglio sarebbe definirla: esistenziale e metafisica. Come dire: esiste una giustizia sospesa sopra di noi che riguarda la nostra vita, gli atti, i gesti più comuni e inavvertiti, di quelli che possono essere riportati, senza neppure farci caso, in un comune diario, in un banale quadernetto. Essa è amministrata da un Tribunale che è così interiore alla intimità della nostra vita, sia nell'individuazione delle colpe, sia nella formulazione del giudizio, che possiamo non accorgercene, possiamo non riconoscerla, se con quell'intimità non abbiamo dimestichezza. Come appunto accade a K., quando dice di "non riconoscere il processo"; vi si adeguerà solo per "compassione". Certo, la battuta di K. si può interpretare facilmente e correttamente-come accennavo primacome una rivendicazione di libertà civile: un processo è tale quando è riconoscibile dal cittadino. Questo è il pilastro che distingue una società libera da una autoritaria. Preferisco, invece, piegare quell'affermazione di K. a una diversa interpretazione, intendendola come un atto di superbia intellettuale: il voler attrarre ogni dimensione della realtà vita all'interno dei canoni propri della ragione umana. Quando tale operazione non riesce, il soggetto si rassicura escludendo qualsiasi altra possibilità o rifugiandosi nell'assurdo. L'ulteriore e l'altrove non lo incuriosiscono; anzi, forse, lo inquietano e lo intimoriscono. Attraverso questa operazione razionale di inclusione-esclusione, noi non ci rendiamo conto delle colpe, spesso impalpabili, di cui ci carichiamo quotidianamente nella nostra vita e rimuoviamo contemporaneamente l'idea che la nostra vita sia continuamente sospesa sotto il giudizio. Giudizio, che non appartiene agli uomini, perché non prende forma in un luogo riconoscibile dagli uomini; si diffonde nella vita stessa. Qui si possono intrecciare due temi. Innanzitutto quello che riguarda il "giudizio di Dio", imperscrutabile per definizione. Al di là dell'affermazione icastica, cosa si deve davvero intendere per "imperscrutabile"? Occorre, credo, afferrare il senso forte del suo essere umanamente definibile come "totalmente altro" dall'ordine della cose umane. Occorre cogliere, cioè, nel profondo, l'idea cristiana del "non giudicare se non vuoi essere giudicato". Ciò che mi sembra di poter dire è che il giudizio degli uomini e lo stesso giudicare se stessi siano così "altro" dal giudizio di Dio, fino al punto da ritenere che il concetto che il verbo umano "giudicare" esprime, in tutte le lingue, non sia riferibile, neppure per analogia, alla totale alterità di Dio. Se "giudicare" è ciò che gli uomini pensano che sia il "giudizio", allora Dio non giudica. L'altro tema è quello della misericordia cristiana. Ricordiamoci del dialogo manzoniano tra Lucia e l'Innominato: "Dio perdona tante cose per un'opera di misericordia" e del successivo smarrimento con il quale quel signorotto lombardo, avvezzo alle più turpi scelleratezze, accoglie l'abbraccio di fraterno sollievo del Cardinale Borromeo. Quell'abbraccio testimonia all'Innominato il dispiegarsi di una dimensione totalmente altra, che non

Esta conferência é um longo comentário ao Canon Episcopi, de Regino de Prüm. Defende-se que só existe uma forma de religião em todos os povos da terra. Esta tese é rara e está contra todas as ideias habituais sobre a diversidade religiosa dos povos. Defende-se, igualmente, que a religião organizada tem afinidades muito profundas com a ciência moderna e que, de facto, uma é um rosto da outra. Esta tese também é rara e está contra todas as ideias habituais sobre a ciência moderna. Tendo isto em atenção, propõe-se uma reflexão sobre o futuro de Deus e o futuro dos seres da Criação. Sem ambiguidade, é defendida a ideia de que o futuro do Primeiro não é tão brilhante quanto o futuro dos segundos

The importance of "Borges and the Cabbala" has been well recog-nized by several critics. The two major works in this field are by Saúl Sosnowski (1976) and by Jaime Alazraki (1972). The former sees Borges's interest in the Cabbala as a means to discover the true secret of the ...

Speech given at the FECRIS conference in Bordeaux, France, in September 2021

What does a famous social psychologist have to do with Playboy magazine, conspiracies and cults? Apparently nothing, but there is an idea in popular culture called the "Six Degrees of Separation".

Bodies and ideas, words and images, define our experience of history. As the stock-in-trade of scientists and poets, philosophers and artists, kings and peasants, messiahs and slaves, anarchists and imperialists, astronauts and psychonauts, they are our raw material as historians. But in human societies historically, the perpetual recombination of bodies and ideas was often defined as magic. This rule is no less true today: from war propaganda, capitalist advertising and popular entertainment to industrial pharmacology, genetic engineering and nuclear power, sometimes by the testament of their own practitioners, technologies for shaping and controlling society continue to be talismanic. The ubiquity and power of "magic" as the most contested of categories in Western societies made it the engine of medieval Christian demonology and then modern colonialist genocide. Both were and are obsessed with the superstitious sorcery of the natives, fit only to be erased through physical, psychological and historiographical violence. Yet witchhunts breed witches. As a direct product of European witchhunting and Indigenous and African witchery, American society too is weirdly sorcerous. This senior seminar takes "sorcery" as a strategic theme for investigating the weird and the wondrous in human societies generally. It forces us to ask: What do we include or exclude in our histories of the past and the present? What does it mean to be an actor in time and space? Can non-male, non-human and non-biological entities be actors? Is everything mindless bodies, or does mind matter? How do beliefs shape societies and their technologies?

Timothy Leary, Robert Anton Wilson, and Terence McKenna are three of the most influential figures of the late-twentieth century psychedelic counterculture. Their liberal use of terminology derived from magic, alchemy, occultism, and other esoteric traditions to describe the transcendence of psychedelic experiences situates them squarely in the category Hanegraaff has defined as "entheogenic esotericism".

A key influence on all three was the Irish writer James Joyce (1882 - 1941), widely regarded as one of the most important figures in twentieth century literature. Leary asserts in his autobiography Flashbacks, that it was "in part the long training with Joycean relativity that prepared me for the psychedelic experience".

Wilson wrote analyses of Finnegans Wake that employed the mystical terminology of Taoism, Zen Buddhism, and Qabalah to illustrate Joyce's "relativistic" perspective. He considered the work, published in 1939, rich with examples of Jungian synchronicity, including apparently precognitive references to the psychedelic counterculture.

McKenna described the "unique feeling" of reading Finnegans Wake as "psychedelic" and "about as close to LSD on the page as you can get". He considered Joyce "one of the true pioneers in the mapping of hyperspace".

For all three, Joyce's prose contained an esoteric, apocalyptic, and prophetic dimension that foreshadowed the psychedelic states of consciousness they would spend decades of their lives exploring.

This presentation will examine the influence of Joyce on their thought, their work, and their psychedelic experiences.

* Presented at the 8th Biannual Conference of the European Society for the Study of Western Esotericism (ESSWE)

Contemporary operatic scenography has been undergoing broad aesthetic, theatrical and technological transformations. My dissertation analyzes the work of three key designer-directors-Robert Wilson, Achim Freyer, and Karl-Ernst Herrmann-in order to investigate the changing relationship between the visual and the theatrical in contemporary opera, as well as opera's place within current trends in theatrical design and broader visual culture. Combining an analysis of current productions with wideranging archival research, I reconstruct and explore these artists' individual stylistic development and their mutual influence. Through this focus on the hybrid figure of the contemporary designer-director, I address two key historical changes in operatic culture: first, the greatly increased importance of scenography and visuality in global opera and second, the emergence of new scenographic idioms, which have rapidly displaced the dominance of historicist and realist conventions in staging. Throughout, I show how Wilson, Freyer, and Herrmann's work has been central to the development of a "new international style" in operatic scenography. Combining close visual analysis with historical contextualization, I examine how this style-characterized by abstraction, rich colors, striking lighting and radical theatrical effects-has transformed the look of opera, while also framing these developments within the longer history of modernist scenography, and the long-standing tensions between stylistic innovation and aesthetic traditionalism. i TABLE OF CONTENTS LIST OF FIGURES ii ACKNOWLEDGEMENTS x NOTE ON TITLES, NAMES, AND USE OF TRANSLATION xiii DEDICATION PAGE xiv 1.22. Schönberg's Erwartung at the Staatsoper Unten den Linden in Berlin in 1997, directed and designed by Robert Wilson, costumes by Frida Parmeggiani. A striking image, very simple and minimal, but designed down to the last detail.

– The chapter examines the sociological content of The Merchant of Venice . It particularly focuses on the behavior of three characters: Antonio, the merchant (to whom the work is dedicated, although he is not the main character), the beautiful and rich Portia (whom Bassanio, Antonio’s best friend, intends to marry) and Shylock (the Jewish financier who lends Antonio a large sum, that the merchant will transfer to Bassanio, so that he could present himself to Portia in an appropriate manner according to the customs of the time). Antonio’s attitude is an almost incomprehensible state of sadness: Antonio is actually so attached to Bassanio to suffer in advance for his future loneliness (when Bassanio will marry Portia), being beside himself with a feeling of friendship following the classics of the literature. Portia is the most dynamic character of the comedy: she is bound to her father’s will, but she smartly succeeds in standing out as a wise sharp woman. Her character shows Shakes...

The scenic fortune of The Merchant of Venice marks a turning point in 1741 thanks to the interpretation of the character of Shylock by the actor Charles Macklin, consecrated by Alexander as ‘the Jew that Shakespeare drew’. A recognition of the actor’s value, but also a sign of distance from The Jew of Venice, the adaptation by George Granville with which in 1701 the comedy that had been missing from the stage for almost a century was revived, albeit in a modified form. The essay analyses the genesis and compositional structure of the adaptation in which Granville seeks a mediation between the aim for ‘regularization’ in the classicist sense of the Shakespearean text and the desire to preserve its essence, ‘the silver at the bottom of the melting pot’. Consistent with these purposes is the assignment of the part of Shylock to the comic actor Thomas Doggett, whose artistic and character profile is outlined through many testimonies of long-time companions. On the other hand, the iconog...

The psychedelic dimension of religious experience occupies a marginal position in the scholarship of American culture. For the last seven decades, scholars have viewed the psychedelicist church movement as, variously, an excuse for taking illegal drugs, an inauthentic mode of religious fellowship, and a purely oppositional “counter-culture.” More recent scholarship challenges these interpretations by emphasizing the legitimacy of the experiences occasioned by psychedelics. Psychedelicism in the 1980s took shape as the “zine scene,” a vast information network composed of approximately ten thousand self-publishers. The convergence of underground networks that coalesced into this expansive literary microcosm can be traced back to the SubGenius Church. This fellowship of psychedelicist hipsters organized its members into an epistolary network. This intra-church postal exchange was the seed out of which the zine scene bloomed. However, the SubGenius Church would not retain its position a...

In this paper I will argue that Argentinian short story novelist Jorge Luis Borges best exemplifies some issues covered in the structuralist and post-structuralist narratology of Gérard Genette and Roland Barthes, namely nestling narrative levels, shifts in narrator person and focalisation, the subversion of the concept of author, independence of the diegesis-extradiegesis relationship from the reality-fiction distinction. I will then argue that Borges successfully established a genre of anti-realist fiction that employs metacritics, or critics discussed within a narration, and pseudocritics, or a narration passed off as a work of literary criticism, as a mean of forging a fictional story that closely resembles reality and therefore is able to enstrange the reader with a growing feeling of paranoia towards the blurred distinction between reality and fiction.

Il desiderio di vendetta, la voglia rappresentata e pienamente espressa di distruggere un avversario fonte di tante umiliazioni. È questo il motivo di fondo della bella e ombrosa commedia di Shakespeare Il Mercante di Venezia; un testo caro alla psicoanalisi e visitato dallo stesso Freud. Proprio in una delle numerose sedute della Società Psicoanalitica di Vienna, che toccavano spesso temi di critica letteraria, il giovane Otto Rank, nel 1910, prese la parola per illustrare un poetico esempio di lapsus verbale, da lui stesso individuato in questa opera.. Sigmund Freud apprezzò molto l'intervento, al punto da aggiungerlo, nel 1912, nella quarta ristampa di Psicopatologia della vita quotidiana e da inserirlo, nel 1915 nella Introduzione alla psicoanalisi. La vicenda teatrale è nota: Bassanio, per corteggiare degnamente la giovane ereditiera Porzia di Belmonte, chiede in prestito 3000 ducati all'amico mercante Antonio. Quest'ultimo, ricco ma, in quel momento privo di contanti, chiede il denaro a Shylock, ebreo e, in quanto tale, vittima di aspre e ricorrenti umiliazioni da parte anche dello stesso Antonio. Shylock, che odia il mercante di Venezia e desidera la vendetta, celiando, offre il denaro a una condizione: se entro tre mesi Antonio non restituirà i soldi, dovrà pagare con una libbra di carne del suo corpo. Bassanio dapprima sconsiglia l'amico di accettare, poi, pensando alle enormi ricchezze di Antonio investite in carichi marittimi, capitola e parte per raggiungere l'amata. Porzia, legata a un giuramento paterno, potrà sposare solo colui che, tra tre scrigni, d'oro, d'argento e di piombo, saprà scegliere quello che contiene il suo ritratto. Tutti falliscono, attratti dai metalli preziosi, ma Bassanio sceglie il piombo e conquista Porzia. Nel frattempo, la figlia di Shylock fugge con un cristiano, sottraendo anche denaro al padre. Quando egli viene a sapere che Antonio non può pagare il debito, covando l'agognata vendetta, pretende rabbiosamente la sua libbra di carne. Sarà Porzia, travestita da avvocato, a salvare Antonio con un cavillo legale, mentre Shylock finirà privato di ogni bene e costretto a convertirsi al Cristianesimo. Il lapsus segnalato da Rank avviene quando Bassanio deve scegliere fra i tre scrigni. Avendo Porzia, finalmente, trovato in lui il pretendente che ama, teme che possa sbagliare la sorte. Vorrebbe comunicargli il suo amore, ma ne è impedita dal giuramento. Di fronte a questo conflitto interiore, il poeta le fa dire: …Potrei guidarvi A sceglier giusto, ma verrei meno al voto; Ciò non voglio; potreste dunque perdermi; E ciò facendo, pentire mi fareste Di non aver mancato al voto. Oh, gli occhi vostri Che nel guardarmi così mi divisero! Metà son vostra, l'altra metà è vostra… Mia volevo dire; ma se mia anche vostra, E così tutta vostra. Ella comunica così apertamente ciò che vorrebbe solo accennargli, perché anzi dovrebbe tacerglielo; cioè che è già tutta sua e lo ama, calmando l'incertezza dell'amante e la tensione identificatoria dello spettatore, riguardo l'esito della scelta. Freud fu, evidentemente, colpito dalla dimensione mitica della situazione. Non solo, infatti, utilizzò quei versi a sostegno della teoria dei lapsus; ma, nel 1913, scrisse un breve articolo intitolato Il motivo della scelta degli scrigni, prendendo spunto dalla scena di Shakespeare. In sintesi, l'ipotesi freudiana è che gli scrigni rappresentino figure femminili e che ci si trovi di fronte alla scelta che un uomo compie fra tre donne. Molte sono, allora, le somiglianze con altre situazioni mitologiche e fiabesche. Sempre

The following essay explores the issues of idealism, ontology, and the fantastical in the work of Jorge Luis Borges. Borges' fascination with philosophical idealism began when he was introduced to philosophy as a child by his father, the thinker within this school who most influenced him being, as he admits, George Berkeley. Examining Borges' attitude towards Berkeley's radical idealism, the discussion focuses on its ontological dimension, demonstrating how Berkeley engages in a reductivist move in which ontology-in its Greek, Parmenidean sense-is replaced by epistemological processes in light of the dictum esse est percipi ("to be is to be perceived"). Within this framework, the question of the ontological status of the fantastical object in the Borgesian text is investigated, idealistic and fantastical objects being analyzed and compared in his short story "Tlön, Uqbar, Orbis Tertius." In a more general sense this comparison demonstrates that, considered from an ontological perspective, literary fantastical objects are not in fact idealistic objects but more closely resemble the paradoxical objects in Meinong's theory, thus constituting what Todorov calls the "hesitation experienced by a person [reader] who knows only the laws of nature, confronting an apparently supernatural event."

The irrefutable primacy that desire and curiosity attain in the pursuit of knowledge often manifests itself in the Icarian endeavour towards exhausting all possible avenues of knowledge attainment. This utopian wish to reach a stage where all options to know would already be exercised finds a corollary in a parallel anxiety to not forget anything, which is itself another utopian wish. Both knowledge and memory are confined within the realm of language and signification, and just as meaning making is analogous to desire in that they are both never fully realised, a utopian world is a paradox as both knowledge and memory are offset by gaps and erasures. For John Locke, for instance, it would be futile to even attempt to know everything due to its impossibility and one must recognise and respect the limits of human knowledge. The present paper aims to critically examine the manner in which Jorge Luis Borges's writing exposes and explores the futility of a utopian wish towards knowledge attainment by its sustained focus on depictions of utopian language-systems and their limits. His stories "Tlon, Uqbar, Orbius Tertius," "The Library of Babel", and "Funes the Memorious" satirize the desire for utopia. My attempt, through this paper, is to critically comment on how the nexus of desire, memory and signification constrains all attempts towards utopias in thought and practice and renders them imaginary.

È difficile dire quale sia la realtà e quale la finzione nel Mercante di Venezia, chi sia il mercante e chi l’ebreo. La storia di Shylock si snoda dalla pagina scritta, dalla scena, per arrivare al mito. Scivola nel tempo, da Venezia e dall’Inghilterra del XVII secolo, e giunge ai giorni nostri. Il Mercante di Venezia, su di un piano etico, religioso e legale, ben si accosta, per i conflitti che mette in gioco, ai grandi quesiti irrisolti dell’uomo, che afflissero Edipo o Antigone. Shylock il feroce ebreo ci parla, oggi, come un “escluso” al quale solo la legge potrebbe garantire giustizia, ma questa è già piegata al volere di un meccanismo che sfugge a tutti.

Circuits I + II     2
Matric – Patric expression             3
The 4 temperaments of Hippocrates I   4
The 4 temperaments of Hippocrates II     6
The reptilian and amphibian brain   8
Circuits III + IV and left / right brain 9

In the literary classification, Shakespeare's The Merchant of Venice should be formally considered a comedy, but it could be barely considered such a kind of work. In fact, at the center of the scene, there is the tragedy of Shylock, the controversial Jew-ish character whose 'strange' legal (?) request of an equal pound of Antonio's flesh supports the plot. Defeated by the formalistic argument used in the crucial trial, Shylock doesn't obtain what he claimed, and he loses almost all, except for his life. However, the legal argument used in the trial doesn't come from the Duke, who should be the 'real' judge, but from Portia, a disguised character who has reason to oppose the despised Jew. So, who is who in this 'comedy', and, above all (for the jurists), who is the judge? Perhaps, by rereading The Merchant of Venice, we could learn more about the jurisdic-tional function than studying the (formal) jurisprudence.

Robert Wilson's The Three Ladies of London offered its first audiences entertaining stereotypes of 'naturally' vicious southerners who corrupt the vulnerable English with lechery, greed, papistry, and love of foreign luxuries. The only word-mangling clown in the play is the Italian merchant Mercadorus, whose total sexual abasement to Lady Lucre renders him absurd and effeminized. His double-dealings with the Jewish moneylender Gerontus have drawn a great deal of critical attention, but this essay will examine the Italian sex comedy that Wilson uses to leaven his far more solemn-minded plot. Wilson deploys a typical commedia dell'arte character system. In some arte plots a Venetian courtesan toys with, tricks, and robs the lovesick merchant Pantalone, whose low Venetian dialect render his attempts at love-talk and eloquence laughable. Mercadorus's vows to 'Madonna' Lucre bear a distinct echo of Pantalone's romantic and linguistic excesses, a sample of which reached print in the comic letters of the clown-author Andrea Calmo.

The psychedelic dimension of religious experience occupies a marginal position in the scholarship of American culture. For the last seven decades, scholars have viewed the psychedelicist church movement as, variously, an excuse for taking illegal drugs, an inauthentic mode of religious fellowship, and a purely oppositional “counter-culture.” More recent scholarship challenges these interpretations by emphasizing the legitimacy of the experiences occasioned by psychedelics. “Angelheaded Hipsters: Psychedelic Militancy in Nineteen Eighties North America” looks at the ways Cold War dissidents in the United States utilized amateur self-publication to build a grassroots movement of psychedelicist activism. Specifically, it asks how an innovative discourse of holiness centered on the use of drugs, or “psychedelicism,” developed within fanzines — uncommercial, nonprofessional and small-distribution magazines circulated in the tens of thousands during the 1980s. In order to explore this question, the dissertation focuses on the preeminent status of psychedelic fellowships (particularly the Discordian Society, the Church of the SubGenius and the Moorish Orthodox Church of America) within the literary microcosm of fanzines. Opposing both American capitalism and Soviet communism, these understudied churches mobilized the fanzine network to launch a revolutionary, or “third way” movement based on the use of mind-expanding drugs, which they construed as the only viable alternative to the nuclear destruction that then seemed inevitable.

Informed by the material study of religion, the also examines the clandestine social network build by psychedelicists in response to the subsequent criminalization of their devotional practices under state and federal law. As a result of government persecution, the allied forces of psychedelicist militancy fomented the rise of the so-called “zine scene,” an alternative communication microcosm based on the participatory and decentralized exchange of homemade artworks, publications, music, and literature. Driven by the utopian potential of what was then termed “cyberspace,” the hipster militants of the zine scene eventually migrated away from epistolary exchange to pioneer online communication in the 1990s. A historiographic intervention on behalf of ephemeral material culture, my dissertation ultimately traces the “digital turn” towards home-computing back through the earlier social media paradigm of fanzine exchange.

In-class handout for a course I'm co-teaching at Swarthmore College in spring 2020 with my colleague Prof. Luciano Martínez.  The course is entitled "The Short Story en las Américas."  It's cross-listed as an English and Spanish and Comparative Literature course & covers short stories from the 19th to the 21st centuries written by US, Latin American, and Caribbean writers.  NOTE: Prof. Martínez has no responsibility for any errors that may be embedded in this document.

"Il mercante di Venezia? Una cri-tica della società, che si cela nei dettagli, nella complessità dei personaggi, ma soprattutto nelle ambiguità linguistiche che il testo lascia al lettore". Così spiegava Dario Calimani, anglista e do-cente dell'Università Ca' Foscari di Venezia nel corso di un incon-tro organizzato a Venezia duran-te Redazione aperta, il laborato-rio giornalistico realizzato della redazione dell'Unione delle Co-munità Ebraiche Italiane. Era da poco uscito in libreria per i tipi di Marsilio un'apprezzata tradu-zione annotata e commentata da Calimani dell'opera shakespea-riana Il mercante di Venezia. "Complicata dalla storia dell'an-tisemitismo, la rappresentazione e la lettura del Mercante di Ve-nezia sono, oggi più che mai, una sfida alla capacità di com-prensione e all'onestà degli in-terpreti" spiega Calimani nell'in-troduzione al volume. Spetta al pubblico o ai lettori dunque por-si domande, andare a fondo del testo, ed evitare di schiacciare la figura di Shylock nella-seppur comune-rappresentazione del-l'ebreo usuraio cattivo. E lo stes-so Calimani ci aiuta ad infran-gere questa lettura semplicistica e stereotipata, spiegando come siano altri i personaggi ad aver un rapporto subdolo e disonesto con il denaro, e come Il ercante di Venezia sia un'opera di critica della società e non il prodotto del pregiudizio antisemita. Cosa rappresenta Shylock? Shylock è diventato nel tempo il maggior simbolo letterario del-la diversità ebraica inscindibil-mente legata al denaro. E non è detto che sia giusto così. Si sa, innanzitutto, che al tempo di Shakespeare di ebrei in Inghil-terra non c'è n'erano. Erano stati cacciati nel 1290 e vi tornarono solo verso il 1660. C'era a Lon-dra una piccola comunità di marrani che certo non desidera-vano essere riconosciuti per ebrei. Il modello di Shakespeare era quindi un ebreo ideale, a me-tà fra l'ebreo di Venezia, di cui egli sapeva assai poco, e l'usuraio inglese che poteva essere benis-simo puritano, o gli stessi attori dell'epoca elisabettiana, che non disdegnavano di prestare a usura. Fra questi ultimi, lo stesso Sha-kespeare e suo padre. E tuttavia, quando Shakespeare si trova a trattare la figura tanto disprezzata dell'ebreo, sembra che non si accontenti di deline-arlo secondo l'immagine stereo-tipa che ne dà la tradizione let-teraria delle ballate medievali o dei drammaturghi elisabettiani, primo fra tutti Christopher Mar-lowe. Sembra anzi che Shake-speare scelga appositamente il personaggio dell'usuraio ebreo per testarne la corrispondenza al reale. Quali sono i filoni principali del Mercante di Venezia? I temi al centro del testo sono molti: l'estraneo e il trattamento che gli riserva la società, la ma-nipolazione della giustizia da parte del potere, il rapporto pa-dri-figli, le tensioni fra i diversi tipi di economia che all'epoca si confrontavano-agraria/feudale, commerciale/neocapitalistica, 'bancaria', e il rapporto insonda-bile fra apparenza e realtà. Ma è certamente l'ebreo usuraio, il problema centrale del Mercante di Venezia. Che ruolo hanno Shylock e il de-naro nell'opera? Shylock è lo strumento necessa-rio nelle mani della società che lo usa. Una società che esercita l'usura non meno dell'ebreo, ma in modo più subdolo. Shy-lock lo fa in modo aperto, per vi-vere, come dice lui stesso. Gli altri lo fanno in modo ipocrita, na-scondendosi dietro mascherate di perbenismo. E, infatti, i vene-ziani/cristiani compiono in ma-schera tutte le loro azioni decisive: per fuggire con i proventi del furto dalla casa di Shylock, per esercitare la giustizia a modo lo-ro, per mettere alla prova la fe-deltà dei coniugi. La maschera, il nascondimento, la doppia morale , sono il segno del loro agire. E il denaro, che è il mezzo e il fine di ogni loro agire. Bassanio prende a prestito denaro che non sarà mai in grado di restituire ap-profittando dell'amore che An-tonio prova per lui, Antonio lo chiede all'ebreo che odia e che ha sempre disprezzato e offeso, Bassanio stesso usa quel denaro non suo per corteggiare la ricca Porzia, e acquisirne sposandola Shylock e il denaro, l'ipocrisia degli altri Esperto di Shakespeare, Dario Calimani spiega cosa si nasconde dietro al Mercante d Venezia A cura di Dario Calimani IL MERCANTE DI VENEZIA Marsilio Nel 1946 la New Yiddish Theatre Company mise in scena Il Mercante di Venezia all'Adler Hall, Whitechapel, nel cuore dell'East End londinese. Visto il ruolo ambiguo dell'usuraio ebreo Shy-lock, fu una decisione non scontata quella di mettere in scena lo spettacolo nell'immediato do-poguerra. La compagnia eseguì una versione dell'opera teatrale di Shakespeare tradotta da Abish Meisels in yiddish. La compagnia si affidò a un regista non ebreo, Robert Atkins. La produ-zione fu pensata per riflettere sulla complessità del ruolo di Shylock. I critici dell'epoca scris-sero che Meier Tselniker nei panni di Shylock (nell'immagine) mostrò l'umanità del personaggio. Un altro adattamento yiddish di successo fu messo in scena a New York nel 1901 e 1903, con Jo-seph Adler nei panni del mercante. Adler vedeva in Shylock un uomo di "elevato intelletto e or-gogliose convinzioni", con una grandezza derivata dalla sua sofferenza.

In the opening to Howl (1956), Allen Ginsberg glorified "angelheaded hipsters" as the paragons of authentic religious seeking. Published a year later, Jack Kerouac's On the Road (1957) placed this archetype for "hip" spirituality center stage. A cultural landmark for postwar American youth, this visionary travelogue drew upon an older, vernacular cultural of religious dissent. The aim of this course is to sketch the genealogy of this "hip" mode of spiritual heterodoxy from the 1940s Church of the Living Swing to the "hipster witches" of today. In addition to explicating the socio-historical dynamics of esotericism, this seminar will map the intersection of race, class, and gender in the social construction of hipness.

Folien zu Menschentypen und Wilson´s Schaltkreisen

Schaltkreise I + II     2
Matrisch – Patrische Ausprägung          3
Die 4 Temperamente des Hippokrates I             4
Die 4 Temperamente des Hippokrates II               6
Das reptilische und amphibische Gehirn       7
Schirm´sches Struktogramm + Schaltkreise I + II                       9
Schaltkreis III   10
Schaltkreise III bis VIII   11

The term "zine" is an abbreviation for "fanzine", a self-published, non-commercial periodical customarily distributed at cost through the mail. The North American culture of fanzine publishing originated in the 1930s, and reached an apex fifty years later with the heterogeneous "zine scene". By the late 1980s, the practice of making and distributing zines spread beyond fandom (and specifically the small clusters of "correspondence clubs" that networked science fiction fans) to a wide range of other outsider subcultures. Now largely forgotten, the vast reserve of material that circulated in these small-circulation print periodicals represents an undiscovered continent for scholars of esotericism.

Translation is one of the fundamental resources and conditions for religious propagation. As it relates so closely to the spread of Buddhist teachings, we may see translation as a specific manifestation of the Bodhisattva Way. Thus, we intend to propose the idea of the bodhisattva-translator as a self-chosen way of life, a subjectivity and a habitus  which are constructed in the context of Buddhist practice, whose roots may be traced down to the Lotus Sutra’s Bodhisattvas of the Earth. Kumārajīva (344-413), the eminent Dharma Master who translated Buddhism to Chinese and thus enabled the worldwide dissemination of Buddhist teachings, may offer a bright, unparalleled example of the bodhisattva-translator and help us outline new approaches to contemporary Buddhist translation

Notes on Matt Cardin, “In Search of Higher Intelligence: The Daemonic Muse(s) of Crowley, Leary, & Robert Anton Wilson,” in Angela Voss & William Rowlandson (eds.), Daimonic Imagination: Uncanny Intelligence, Cambridge Scholars, Newcastle, 2013, pp. 266-281.

Most musicians, artists, poets, adepts and shamans collaborate with the Muse. The Hindu knew the phenomenon as apauruseya, śruti, and ākāśavāni. We discuss it as prophecy, Dionysian ecstasy, Bacchus, the Jungian collective unconscious, race consciousness, and the Akashic Record.

The metaphysics of the multiverses demand that we understand the Muse as an autonomous projection of human consciousness.