Lo studio dello storico Piero Bevilacqua (La Guerra mondiale a pezzi e la disfatta dell'Unione europea, Castelvecchi, 2025), si inserisce tra le molte e autorevoli pubblicazioni che in questi ultimi due anni hanno voluto sottoporre a...
moreLo studio dello storico Piero Bevilacqua (La Guerra mondiale a pezzi e la disfatta dell'Unione europea, Castelvecchi, 2025), si inserisce tra le molte e autorevoli pubblicazioni che in questi ultimi due anni hanno voluto sottoporre a seria e attenta analisi le vicende drammatiche della politica internazionale. Ma riveste, per la particolarità della sua impostazione, una significativa rilevanza se letto dal punto di vista della professionalità docente. L'analisi dei drammatici eventi affrontati (la guerra russo ucraina e la devastazione della striscia di Gaza) intende soprattutto contestualizzarli sul piano storico, in aperta polemica con il riduzionismo informativo con cui l'apparato mediatico ha impostato la comunicazione su tali temi. D'altronde, per alcuni aspetti specifici, Bevilacqua rimanda a studi altrettanto recenti e più specifici che offrono descrizioni a volte più particolareggiate (da Todd a Pappe, da Abelow a Ganser, da Albanese a Basile). Qual è, dunque, la prospettiva originale con cui Bevilacqua si accosta a tematiche già oggetto di analisi di particolare spessore? Per comprenderlo è forse utile fare riferimento alle conclusioni del volume, tutt'altro che pessimiste, come suggerisce il titolo dell'ultimo capitolo (L'alternativa c'è). Nonostante una paralisi informativa che si propone di produrre un colossale effetto di condizionamento delle opinioni e impedire l'accesso a informazioni corrette, si può constatare con speranza-sulla base di sondaggi d'opinione significativi-come tale manipolazione del consenso non sembra affatto raggiungere i risultati auspicati. Di fronte a un quadro apparentemente così favorevole, manca però un collettore capace di dare rappresentanza a una consapevolezza politica così diffusa presso l'opinione pubblica. Bevilacqua, anche ripercorrendo la sua esperienza di partecipazione attiva in varie formazioni politiche della sinistra cosiddetta "radicale", giunge ad auspicare un'unità che si coalizzi intorno a formazioni d'opposizione già consolidate e stabili, certo con il proposito di condizionarne in senso ancora più progressista la linea politica, ma facendo venir meno le sterili preoccupazioni di carattere identitario, che hanno condannato le pur generose esperienze degli ultimi anni-e a cui lo storico ha con convinzione partecipatoall'insignificanza sul piano della rappresentanza; e dunque all'impossibilità di incidere sulla direzione politica del paese. Quest'ultima dovrebbe sostenere non solo tutte le istanze pacifiste contro i tentativi di riarmo, e di attiva ostilità nei rapporti internazionali, ma dovrebbe rilanciare alcune parole d'ordine diffuse nei tempi in cui il nostro Paese ha conosciuto le maggiori conquiste sociali della sua storia: conflitto innanzitutto, e poi la ricerca di un benessere collettivo (espressione che deve essere contrapposta a quella di sviluppo; termine neocoloniale, precisa lo storico), da realizzarsi anche con una politica ambientale che favorisca il ripopolamento di alcune ricchi territori montani del nostro paese. Attraverso un "reddito di presidio ambientale", una tale politica potrebbe, in modo virtuoso, affrontare anche il tema dell'immigrazione, una risorsa per l'Italia e non certo una minaccia. Ma come potrebbe essere possibile ridare forza a un lessico, tanto necessario nell'attuale fase storica, quando ci si deve scontrare con un colossale apparato mediatico che, attraverso un lavoro di condizionamento dell'opinione pubblica