Philosophy Department - Dipartimento di Filosofia

Frege's own ideas are lost in the struggle with larger issues. Reading Currie, by contrast, one is likely to feel occasional impatience. As the discussion veers towards some unresolved question of contemporary interestthe semantics for arithmetic or the analysis ofbelief-contexts, for example -Currie drops the topic, and moves on to further exegesis. We have a more complete picture of Frege in Currie's book, but there is far less life to it.

Claude Lefort’s theologico-political reflection is far from being explored in its richness. This essay aims to help fill this gap by showing how this speculation is linked to the question of the political and to a non-teleological conception of history as well as by bringing to light his sources. First, the essay shows the permanence of The King’s Two Bodies symbolic configuration until the ancien régime and second, it stages, through Jules Michelet’s thought, the ambiguities in his break with the French Revolution. What we want to emphasize is how Lefort reads the religious interpretation of the revolution as an opening toward a democratic-type sensibility. Finally, it highlights by contrast the peculiarities of the unprecedented democratic institution of the social, allowing us to grasp the enigma underlying all political forms of society, accepted as such only by modernity.

1. È nota la bella immagine con cui Walter Benjamin delinea in pochi tratti la personalità di Valéry, considerato come un metereologo che osserva i loro comuni tempi: «uomo sul promontorio del pensiero, teso a guardare fin dove gli è possibile, fino ai limiti delle cose o della sua capacità visiva» (Benjamin [1931]: 46). Questa immagine illustra il nucleo principale della personalità teorica di Valéry, che è essenzialmente «testimone» (Teste), ma che, per approfondire il senso delle cose, deve farsi poeta, artista, architetto, «conservare l'arte -Ars -pur distruggendo tutte le illusioni d'artista e d'autore» : 94). Quasi in casuale analogia con Benjamin, la parabola di Valéry si muove tra un metereologo che osserva (Teste), e che, al tempo stesso, sa che osservare significa farsi artista, con tutti i tormenti che tale prassi impone (Leonardo), e l'angelo, ultima estrema figura, con cui chiude la vicenda terrena, consapevole che la sostanza spirituale, meravigliosamente pura, in cui tutte le idee vivono ugualmente distanti fra se stesse e da chi le pensa, ha tuttavia limiti insuperabili. E l'Angelo, come estremo Narciso, pur continuando a vivere, per tutta l'eternità, nella sua sublime pienezza, «non cessa di conoscere e di non comprendere» (Valéry [1945]: 103).

L'esempio di "Venus", bassadanza ideata da Lorenzo Cosimo de' Medici con la stesura di Guglielmo Ebreo da Pesaro e il ballo Jupiter di Domenico da Piacenza ripreso da Giovanni Ambrogio (alias Guglielmo Ebreo). Entrambe le ricostruzioni coreografie sono del Ballarino (Bruna Gondoni sulla ricostruzione di Andrea Francalanci).

Il nostro viaggio, in questo percorso di ri-conoscenza, comincia sulle sponde dell'Asia minore da quella terra madre - che ci fu culla - e d'isola in isola portò i suoi simboli, i suoi riti, i suoi miti su tutte le rive del Mediterraneo.
SAMOS: L’ HERAION
SAMOTRACIA: SANTUARIO DEI GRANDI DEI
CIPRO: SANTUARIO DI AFRODITE
GOZO: CALIPSO E GGANTIJA
PITHECUSA: LA LEGGENDA DELLA GUERRA DEI GIGANTI

Per le nozze Armonia, dalla madre Afrodite, portò in dono gli oggetti sacri e Cadmo la scrittura.
Con Cadmo il divino si trasferì nell'umano e l'umano fu elevato a divinità[..](Kerényi)

Il confine incerto tra religione e arte.
Gli iniziati, che arrivavano a tarda sera, dopo una preparazione e offerte agli dei ctoni, durante il primo grado dell'iniziazione, la myesis, assistevano a danze rituali e ricevevano una rivelazione: il mistero prendeva forma, si manifestava. Nel secondo grado dell'iniziazione venivano poi condotti nello Hieròn (luogo sacro) che in questo caso si prestava a diventare l'époteion (luogo della contemplazione) dove lo hierophante (ιεροφαντης) trasmetteva uno hieros logos (ιερος λογος) e mostrava gli oggetti sacri. Vi era una contemplazione e rivelazione epopteia  (εποπτεια) che bisognava esperire e di cui non si poteva riferire (pena la morte rivelare ciò che accadeva durante i misteri, vedi stele sotto).
Sopra lo Hieròn sorgeva il teatro. Annualmente, nella seconda metà di luglio, veniva rappresentato un dramma sacro, di cui i sacerdoti stessi erano attori.
Probabilmente era però nell'edificio delle danzatrici che veniva rappresentato lo hieros gamos (ιερός γάμος), a ricordo delle nozze di Cadmo e Armonia (nozze celebrate alla presenza di tutti gli dei qui sull’isola, come ci ricorda il mito). Il fregio che adornava quest'edificio ci parla di 300 danzatrici e ancora oggi, ora come allora, ha luogo una celebrazione essoterica proprio di fronte all'area archeologica, alla quale partecipano molti greci provenienti dalla costa tracia. Viene tuttora distribuito un pasto sacro (riso e capra), si suona e si balla in cerchio aperto di fianco alla zona del Santuario dei Grandi Dei dove oggi sorge una chiesetta dedicata a Santa Lucia (luce!!) e nella quale si trova un'icona assai particolare (vedi più sotto).
«in un tempo puro – il tempo della festa – e in un luogo puro: sulla dimensione di avvenimenti che non si svolgono nella dimensione dello spazio, bensì in una dimensione propria, una dimensione potenziata dell’uomo, nella quale si attendono e si cercano le apparizioni degli dei» (Kerényi).
La raffinatezza della produzione artistica ritrovata nel sito archeologico è notevole, oltre alla riproduzione della famosissima Nike, si possono ammirare, nel museo adiacente, il pregevole candelabro, di cui sotto (dove si individua facilmente il motivo dello Hieros gamos), sculture di pregio come la Nike che segue (attribuita a Skopas?), un vaso raffigurante Dioniso e numerosi altri reperti.

Verranno anni in cui gli oceani rilasceranno i vincoli delle cose e ci saranno nuovi Argonauti che dalle Americhe, con l’avvento della settima età, salperanno. Quello sarà il tempo in cui l’umanità potrà allora conoscere il Mondo. Così Andronica predice ad Astolfo nel canto quindicesimo dell’Orlando . Con la scoperta delle Americhe un mondo nuovo, che come Atlantide è “saputo da sempre”, porta con sé nuove isole e nuove stelle  riscattando così il fantasma di un’antichità potente e ineguagliata e imponendo il lento scoprimento del sapere  alla luce delle nuove scoperte scientifiche.
Attraversare l’oceano è un viaggio iniziatico alla ricerca di questa nuova terra e nuova età dell’oro, di questa purezza che Colombo, sbarcando nel Nuovo Mondo, crede aver ritrovata nell’incontro con l’altro da sé: una realtà edenica che vive nell’innocenza. E riscoprire il mondo è allora recuperare la propria purezza.

In Argentina, proprio quando credevo di essermi un po’ fermata, mi portò il lavoro che avevo ripreso nel campo del sociale. Santiago de l’Estero, noroeste, la provincia più povera del grande paese sudamericano. Di nuovo e sotto lo scintillio della Croce del Sud, che conoscevo bene, ripresi a viaggiare lontano: Milano - Buenos Aires - Quimili Paso.
La primi volta che vi giunsi mi parve una terra desolata, dimenticata e sofferente, stretta la sua comunità a quella Pacha Mama che una spregiudicata speculazione continuava a violare con i suoi folli disboscamenti. Ma già dalla seconda volta quella terra si era rivelata ricca di antica e profonda sabidurίa, nascosta nei telai a cielo aperto dietro il patio di casa, nei violini di latta, in quello speciale talento musicale dove non è difficile ritrovare tracce della scuola italiana del grande Domenico Zipoli, sepolto in una delle reducciones jesuíticas non lontane.
Quimili Paso, 1800 ettari di bosque nativo e ventitré famiglie di lingua quechua. Niente acqua, né luce, cabras y algarrobo, cactus y adobe. Tante volte mi avevano accolta i grandi viali violetti di jacarandas nella sosta di Baires. Quimili Paso non era più una novità, nonostante si disvelasse molto lentamente, e un po’ d’ansia su cosa avrei trovato questa volta? mi ronzava nella testa prima di ogni ritorno nel monte argentino.

È indubbio che nel Rinascimento, soprattutto dalla seconda metà del Quattrocento al primo Cinquecento, l’Italia fu luogo elettivo di un fiorente e dinamico scambio culturale tra gli intellettuali dei circoli umanistici cortesi e quelli provenienti da altre aree che si erano rifugiati nella penisola, fuggiti via via dal clima di intolleranza religiosa di buona parte di un’Europa sempre più oscurantista.  Soprattutto fu privilegiato il dialogo ebraico-cristiano «con la sua irripetibile commistione di esperienze biografiche, letterarie e artistiche»,  dialogo che andrà mutando successivamente con le reazioni cattoliche alla Riforma, pur continuando in altre modalità fino a tutto il primo Seicento, ma perdendo quel clima di apertura che aveva contraddistinto il Quattrocento.

La musica e la danza, in una cultura dove la dimensione unitaria corpo e spirito è caratterizzante, hanno da sempre accompagnato i momenti salienti della tradizione religiosa ebraica (che è strettamente interconnessa alla vita pratica, anzi la istruisce) e numerosi sono gli accenni biblici alla musica e danza a sottolineare gioia, vittoria, lode, a enfatizzare una dimensione liturgica e di festa, ed anche i momenti di trance estatica profetica erano spesso indotti da pratiche musicali-coreutiche