Dipartimento di Italianistica e Comparatistica

| web: www.educatt.it/libri/all Questo volume è stato stampato nel mese di ottobre 2014 presso la Litografi a Solari-Peschiera Borromeo (Milano) I contributi di questa pubblicazione sono stati sottoposti alla valutazione di due Peer Reviewers in forma rigorosamente anonima l' analisi linguistica e letteraria xxii (2014) 157-166 "Dobbiamo ritentare la fuga". L'inizio e i finali delle Avventure di Pinocchio Paola Ponti "Come un puledro che avesse levata la mano". L'inizio Quando le gambe gli si furono sgranchite, Pinocchio cominciò a camminare da sé e a correre per la stanza; finché, infilata la porta di casa, saltò nella strada e si dètte a scappare. E il povero Geppetto a corrergli dietro senza poterlo raggiungere, perché quel birichino di Pinocchio andava a salti come una lepre [...] 1. Pinocchio è "appena finito di fare" e subito scappa. La fuga dalla casa paterna è il primo atto libero che il burattino compie una volta messi in moto gli organi e gli arti che Geppetto ha intagliato pazientemente nel legno "da catasta". Si tratta di un gesto improvviso, l'ultima di una serie di disubbidienze che hanno accompagnato la nascita del burattino: gli "occhiacci di legno", il naso che non si fa "scorcire", le linguacce, il furto della parrucca, il calcio in

Inside 'Avventure', the reader stumbles upon several passages where the word moves Pinocchio’s process and affects his choices. Among the many possible examples, the present article analyzes that of Grillo-parlante (Talking-Cricket) and that of Geppetto. The first is the expression of an unquestionable though ineffective centenary wisdom, in so far as it is formulated in a predictive way; the latter, on the contrary, succeeds in opposing Pinocchio’s resistance by using as leverage the awareness of not knowing and resorting to an impersonal formulation of teachings. The rhetoric of pedagogical calls proves essential in determining the puppet’s reactions and responses.

L'onorevole Cenè Tanti è il capitolo conclusivo della terza edizione di Occhi e nasi (Ricordi dal vero), pubblicata per i tipi di Paggi nel 1884. La descrizione del deputato "che non va alla Camera" ricorre nell'opera giornalistica di Collodi e riflette alcuni stereotipi propri dell'italianità, quali l'ozio e l'attitudine a mancare alla parola data. Collodi ricorre a una scrittura fortemente umoristica, contrae debiti con la moda francese delle physiologies e crea un gioco di rimandi intertestuali alla trattatistica del Risorgimento, alla cronaca a lui coeva e, infine, alle sue opere per ragazzi, soprattutto Giannettino (1877) e Le avventure di Pinocchio (1883). Attraverso questo complesso insieme di rimandi, lo scrittore mette a fuoco un'immagine critica e disincantata dell'Italia postunitaria che mostra ancora oggi tratti di attualità.

Il contributo è ripartito in tre proposte. La prima parte, di inquadramento e contestualizzazione storica, letteraria e culturale, mira a dimostrare come lo Spagnolo ed i principes flavi appartengano ad un’epoca neoclassica, che tenta di restaurare i valori del classicismo augusteo, ma in parte arriva a tradirli. La seconda, incentrata sull’analisi testuale, passa in rassegna e poi spiega i giudizi critici del decimo liber di Quintiliano su alcuni autori greci
e latini, al fine di valutare quanto il lessico latino della storiografia letteraria, pur intellettuale, sia essenzialmente realistico, e di dimostrare la spiccata predilezione di Quintiliano per un numero chiuso di parole, tale da far parlare di monolinguismo. La terza ed ultima parte, un’indagine concettuale rapportata però al testo, dimostra quanto sinceramente il buon Calahorrese, sempre nel libro X dell'Institutio Oratoria, voglia, pur nel grande rispetto della cultura greca, avvalorare l’avvenenza e l’autenticità della letteratura latina, con tocchi di patriottismo, sfidando, quando può, l’antesignana ellenica.

Il lavoro ripercorre in modo non sistematico, bensì occasionale, procedendo per exempla che generalizzino la problematica, esaurendola, il tema della diatriba tra vita attiva e contemplativa, dimostrando come la storia abbia insegnato che questi due modi vivendi debbano essere tenuti separati e distinti, non mischiati nella stessa persona, però debbano esistere entrambi, non bastandone uno soltanto, per il fine ultimo della vita stessa.

Il contributo anzitutto introduce brevemente la vita e l'opera di Bartolomeo Dotti, poeta minore tra il Barocco e l'Arcadia, quindi ne fa un bilancio della critica, infine, pubblicando e commentando ben sei suoi sonetti, presunti satirici, inediti, conclude come la posizione letteraria del suo secondo tempo non sia tanto arcadica come si suole ripetere, bensì abbia molto ancora di barocco.

La monografia prevede l’edizione critica, la traduzione italiana ed il commento di Drac. Romul. 8. Si tratta di un epillio mitologico di 655 esametri, avente per soggetto il ratto di Elena e redatto da Blossio Emilio Draconzio, insegnante, avvocato e poeta africano di lingua latina vissuto tra V e VI secolo. La prima parte del lavoro si intitola Conspectus siglorum et principia editoris: in essa, redatta come da tradizione in latino, si trovano l’elenco dei codici manoscritti considerati, le precedenti edizioni prese in esame ed i contributi filologici finora pubblicati, nonché l’enunciazione dei criteri e dei segni di punteggiatura, di ecdotica, di traduzione, di ordo verborum e di grafia utilizzati per il lavoro. La seconda parte è intitolata Testo ed apparato critico: si propone qui un testo soltanto in parte nuovo dell’epillio draconziano, avendo di base quello di É. WOLFF, Poèmes profanes VI-X. Fragments, dans Dracontius. Oeuvres, publié par J. BOUQUET - ID., Paris, Les Belles Lettres, 1996, vol. 4, pp. 13-40, con tuttavia alcuni ripristini di contributi tralasciati, la correzione di evidenti e spiacevoli errori, l’assunzione di nuove ed aggiornate proposte ed alcune divinationes del sottoscritto curatore. La terza parte si chiama Traduzione: presenta la prima traduzione italiana della lirica che sia in poesia e sia aderente al testo, finora integralmente convertito solo in francese e spagnolo, con l’aggiunta di qualche breve estratto in tedesco, inglese ed italiano, ma sempre in prosa e molto liberamente, pur non trattandosi della prima traduzione italiana in assoluto, dato che, a stesura completata, è stata pubblicata quella lodevole, seppur prosaica, di DRACONZIO, I carmi profani, a cura di A. GRILLONE, Messina, EDAS, 2015, pp. 64-99, che ad un certo punto non si è più potuta ignorare. La quarta e più corposa parte del lavoro è il Commento: esso è non soltanto grammaticale ed esegetico, comprensivo di evidenti spunti didattici, ma soprattutto stilistico, toccando la lingua, l'etimologia, la retorica, l’intertestualità e la metrica, ed è il primo in assoluto che esamina il testo in forma continua e completa, soppesandolo parola per parola. La quinta ed ultima parte sono i Riferimenti bibliografici: essi sono esaustivi, ma inerenti alla lirica soltanto, e non all’autore.

Il presente volume consta di tre contributi. Il primo garantisce l’esistenza di una critica letteraria già nell’antichità e definisce le caratteristiche di quella latina, vale a dire il realismo, la metaforicità, l’inquadramento implicito, il monolinguismo e la posterità, per poi proporre alcuni casi testuali in cui gli intellettuali latini si fanno critici letterari, conferendo alcune etichette ad altri autori, al fine di giudicarne i temi e gli stili. Il secondo, invece, si prefigge di individuare le strategie che Quintiliano, in qualità di critico, accoglie nella rassegna degli autori presente nel X libro della sua Institutio Oratoria, mostrando un certo sciovinismo, atto ad avvalorare l’autenticità della letteratura romana ed a sfidare quella greca, ma moderato, ossia rispettoso dell’antesignana ellenica e conscio dei limiti della produzione latina. Il terzo, infine, intende dimostrare la predilezione di Quintiliano per un lessico attinto alla realtà all’interno dei giudizi di critica letteraria che compie nello stesso libro decimo, individuando precise aree semantiche, ovvero agonistica, arte, natura, medicina, alimentazione, religione e comportamento, ed, al contempo, esplicitare le motivazioni, prevalentemente stilistico–formali, che inducono il retore spagnolo ad apporre i propri celebri pareri sugli autori selezionati per la sua storia letteraria.

Il presente volume consta di cinque contributi. Il primo illustra la posizione che gli intellettuali latini hanno adottato nei confronti dei propri confratelli greci, per redimere una supposta inferiorità culturale attraverso la canonizzazione dell’imitazione dei modelli ellenici, fino al loro superamento e così alla celebrazione della letteratura romana. Il secondo ricorre alla nozione di τόπος quale termine di confronto tra le due civiltà, perciò ne mostra lo slittamento concettuale dall’età classica sino all’apporto di Curtius e propone alcuni motivi teorici a supporto della ricerca topologica nelle letterature antiche. Il terzo, poi, ripercorre il concatenamento di un τόπος nell’epica latina, quello dei gemelli che muoiono nel combattere, osservando come ciascun poeta lo riesca a rendere a seconda della propria sensibilità stilistica ed intellettuale. Il quarto, invece, sonda la circolazione di un τόπος nella letteratura latina antica e medievale, ossia la metafora del ventre, riflettendo sulle sue origini, analizzando alcuni autori in cui esso ricorre e tracciandone un’evoluzione concettuale. Il quinto, infine, presenta il passaggio di un τόπος nella produzione latina, quello dello scherno del terapeuta, indagando le sue motivazioni a partire dallo statuto della medicina greca ed esaminandone il diverso trattamento da parte di qualche poeta e prosatore.

Si fornisce un breve elenco dei lavori dedicati al Futurismo e pubblicati su riviste italiane. Tali studi vogliono fornire un approccio sistematico sull'importanza dei mezzi di trasporto nella letteratura futurista. Maggiori sviluppi su tale argomento sono contenuti nel volume Francesca Strazzi, Trasporti futuristi. I mezzi di trasporto nella Milano del primo Novecento.

In Italia da fine Ottocento e per tutto il corso del Novecento è registrabile il fermento culturale provocato dall’avvento dei mezzi di trasporto all’interno delle città e attraverso le compagne. Il treno, per esempio, può essere considerato il primo “mostro”  della letteratura contemporanea ed è stato anche il veicolo per viaggiare che più di altri ha suscitato reazioni contrastanti tra gli autori che si trovavano a sperimentare tale novità. Nell’inno A Satana Carducci elogia la locomotiva definendola «bello e orribile mostro» perché capace di scuotere gli animi dal torpore del passato. Negli stessi anni in cui il maestro maremmano compone tale lirica, un altro poeta, Emilio Praga, accusa il treno di aver ucciso la vena bucolica della poesia. Come si evince da questi due casi i vari veicoli possono diventare degli strumenti per interpretare anche gli sviluppi della cultura e le emozioni o le reazioni degli uomini in un determinato momento storico. Sfogliando le pagine di romanzi e poesie ci si accorge che tutta la letteratura del XIX e XX secolo tesse elogi o critica, in modo più o meno larvato, i mezzi di trasporto. Quando si parla di veicoli a motore, però, non si può prescindere dal futurismo, il movimento che ne ha fatto i soggetti di prosa e poesia. Tali artisti hanno cantato il treno, l’automobile, l’aereo e la motocicletta, tanto da proclamarsi gli «aedi dell’era postelegrafonica» (per citare una composizione di Luciano Folgore). Attraverso dei semplici veicoli è possibile leggere la storia letteraria del Novecento; nella presente disamina si è preferito circoscrivere il campo d’indagine alla città di Milano, sede delle rivoluzionare idee marinettiane: dalla sua casa, sita in zona naviglio, egli lancia proclami e promuove serate a tema, e nel contempo la metropoli lombarda d’’inizio secolo lo ricompensa presentandosi all’avanguardia, rispetto ad altre città della penisola, nel suo sviluppo urbano e industriale. Nella città fervono i preparativi per l’Esposizione Internazionale del 1881, seguita da quella del 1906 che vede inaugurato il traforo del Sempione. In questo periodo la metropoli è investita da un clima di rinnovamento e i vari mezzi di trasporto assumono un ruolo di primo piano, non solo per il trasporto dei numerosi turisti, ma soprattutto perché essi diventano espressione della frenesia, dell’intesa attività e delle innovazioni che la città propone. I milanesi guardano a Parigi come centro propulsore di cultura e novità; per questo gli stessi artisti cresciuti nel Bel Paese si recano, per studio o diletto, nella metropoli d’Oltralpe. Non è da imputare al caso se il Manifesto di Fondazione del Futurismo, stilato nel periodo intercorrente alle due maggiori Esposizioni milanesi, ha la sua più importante collocazione sulle pagine del quotidiano francese «Le Figaro» nel febbraio del 1909. Già nel 1905, con l’uscita della rivista «Poesia», si registrano i germi di tale movimento; e si delinea il ruolo guida che i mezzi di trasporto hanno all’interno della cultura italiana. Il periodo del futurismo milanese ha consacrato il gruppo di artisti, facenti capo a Marinetti, nel panorama internazionale, permettendo al loro nuovo modo di concepire l’arte, ricca di suoni onomatopeici, espressioni violente, battagliere, moderne e di una sintassi veloce, di svecchiare la cultura tradizionale. Seppure a volte gli esisti letterari siano discutibili è indubbia l’importanza del movimento per proiettare la letteratura italiana oltralpe, dando origine a forme espressive che saranno prese a modello per tutto il secolo successivo. Inoltre la parabola futurista ha fornito l’immagine di un’arte tout court, perché partendo da un’idea base, la velocità dei veicoli e della società moderna, ha coinvolto ogni forma di sapere e lo stile di vita di tutti i cittadini, cercando di imporre il proprio credo nella sartoria, nella danza, nella cucina e non solo nella prosa, nella pittura, nella scultura, nella poesia e nel teatro. L’interesse del Futurismo per ogni forma di espressione artistica, anche quando essa ha attinenze con la vita quotidiana, è stato fatto oggetto di innumerevoli studi; con la presente disamina è emerso come tutta l’attività del movimento presentasse un denominatore comune legato all’idea di velocità, simultaneità e dinamismo portata dai vari mezzi di trasporto dal tram all’automobile, dal carro all’aereo.
Il  metodo d’indagine scelto, nell’ambito del progetto, è consistito nella selezione del materiale in prosa, poesia e dei manifesti compilati da Marinetti e riguardanti l’impiego della’automobile e appare evidente il ruolo sociale e poetico del veicolo.
L’analisi dei testi di scrittori aderenti al Futurismo ha permesso di sottolineare ulteriormente le linee guida di tale corrente, ma è soprattutto con l’esame di altre opere di autori vissuti nel medesimo periodo (soprattutto nel Nord d’Italia) che si è valutata l’importanza del veicolo all’interno della cultura e della civiltà del XX secolo. Secondariamente per evidenziare la vita a Milano nel Novecento si è accennato alla forma di trasporto funerario, a cui sono dedicati alcuni lavori marinettiani e infine l’ultima parte dal lavoro è dedicata al volo. Gli aerei costituiscono il cardine del secondo Futurismo che sviluppa i concetti di aeropoesia e aeropittura. Tra i maggiori interpreti di tale momento culturale, oltre al già citato Marinetti, vi è il poeta e aviatore lombardo Fedele Azari, compilatore di vari manifesti e del primo Dizionario Aereo italiano.
Ancora oggi il futurismo merita di essere studiato e ricordato per la propria capacità di veicolare, non solo nella realtà milanese, gli usi e i costumi di un’intera epoca storica, cogliendone tutti i germi di un rinnovamento, non solo a livello culturale, ma anche politico, sociale ed economico.

Questo testo è un capitolo del volume Scrittori al volo (Alenia Aeronautica, 2007, pp. 131-166) scritto da Anna Bellio (coordinatore scientifico Giorgio Baroni) che presenta una traduzione inglese (Writers on flight) ed è dedicato alla storia letteraria del volo. La parte intitolata Nuovo mito, si occupa di temi quali tecnologia e sicurezza, guerra e salvezza e una prospettiva trasnazionale del volo nella letteratura italiana e straniera contemporanea.

La monografia, pubblicata nel 2009 presso l'editore Serra nella sezione Letteratura e dintorni, vuole essere una disamina il più precisa e puntuale possibile, sul ruolo che un veicolo a motore ha esercitato nella letteratura e nella cultura italiana (con sezioni dedicate a cinema, arte e canzone) nel corso del Novecento.

Questa ricerca, promossa dalla compagnia ferroviaria dell'alto milanese, vuole pubblicizzare l'immagine del treno mediante l'ausilio delle opere degli scrittori e degli artisti che hanno viaggiato su tali veicoli. All'interno del volume un'intervista alla poetessa milanese Alda Merini

L'intervento riguarda la figura di Veronica Gambara, la cui vicenda illustra in modo esemplare il ruolo svolto da una donna ‘di potere’ nel Rinascimento. La Gambara seppe infatti abilmente coniugare un’accorta politica familiare a un’intelligente amministrazione dello Stato, che garantì l’indipendenza della piccola contea di Correggio, alla cui guida si trovò dopo la morte del marito nel 1518; e nello stesso tempo favorì le arti, intrecciando una fitta rete di relazioni intellettuali e facendo della sua corte periferica un vivace centro di irradiazione culturale. Oltre ad analizzare l’utilizzo anche ‘politico’ che la Gambara fece dei propri versi, si rivolgerà particolare attenzione al carteggio: esso, nonostante le gravi perdite subite, rivela infatti una forte e raffinata personalità, in grado di conciliare un complesso intreccio di istanze familiari, culturali, politiche.

Quello della provincia, spesso in rapporto antagonistico con la città, è un tema importante della narrativa italiana novecentesca. Negli ultimi decenni, con lo sviluppo ‘orizzontale’ dei centri urbani maggiori e la conseguente creazione di ampie aree periferiche e periurbane, la stessa categoria di ‘provincia’ sembra essere messa in discussione, riassorbita in quella omologante di ‘città diffusa’. Scopo del panel (aperto alle diverse prospettive metodologiche) è indagare la molteplicità di rappresentazioni e significati che la provincia ha avuto nella narrativa italiana del Novecento e dei primi anni del XXI secolo. In particolare ci si chiederà: che cosa è stata, e che cosa ancora è, per gli scrittori italiani la provincia? Il luogo delle proprie radici, anche culturali, e della propria identità? Lo spazio genuino della natura, positivamente contrapposto a quello artificiale della città? O invece un mondo aspro e di fatica, di subalternità economica, povertà culturale e chiusura sociale? È possibile individuare un ‘immaginario’ letterario della provincia (topoi, stereotipi, spazi, personaggi, temi ricorrenti ecc.)? Come viene raccontato, nella narrativa contemporanea, il passaggio da una periferia urbana chiaramente definita nei suoi confini al nuovo modello di città ‘esplosa’ sul territorio che tende a sovrapporsi alla provincia?

Proponenti: Maria Teresa Girardi (Università Cattolica – Milano) mariateresa.girardi@unicatt.it

Maria Chiara Tarsi (Università Cattolica – Milano)
mariachiara.tarsi@unicatt.it

Giacomo Vagni (Università di Friburgo – CH)
giacomo.vagni@unifr.ch

Sulle orme del genere umanistico dell’institutio, nei primi decenni del Cinquecento si afferma, diffondendosi poi con crescente intensità lungo tutto il secolo, un filone letterario, nelle forme del dialogo, del trattato o trattatello, dell’epistola, riconducibile al genere, in senso lato pedagogico, della scrittura ‘di formazione’. Originato dall’esigenza ‒ seguente alla svolta politico-sociale e culturale determinata dalle guerre d’Italia ‒ di una nuova antropologia e di nuovi modelli per ‘l’uomo in relazione’, il filone di cui è capostipite il Cortegiano declina variamente l’intento formativo e modellizzante nei diversi contesti geografici e sociali e nei diversi ambiti dell’agire umano: accanto a testi che si incaricano di fornire norme e precetti del ‘bene vivere’, si registrano scritti rivolti più specificamente alla formazione di giovani destinati alla vita pubblica, anche con particolare attenzione alla loro istruzione ed educazione culturale, così come alla formazione del gentiluomo, o della gentildonna. Si tratta di una produzione non ancora sufficientemente indagata nel suo complesso, specie per quanto riguarda l’apporto di scritti ‘minori’ o poco noti, e tuttavia di grande rilievo non solo per la funzione fondativa che assume sul piano etico e civile, ma perché orientata alla costruzione di una nuova convivenza per il tempo di pace.

Le proposte vanno inviate ai proponenti e in copia all'indirizzo della segreteria organizzativa del Congresso (paneladi@unifg.it) entro il 15 luglio 2022. Ogni proposta deve essere accompagnata da un abstract (massimo 1.000 caratteri, spazi compresi) e una breve nota biografica (massimo 500 caratteri, spazi compresi). Nell'abstract dovrà essere indicato chiaramente:
- il panel a cui si intende partecipare
- nome e cognome, con l'istituzione di afferenza
- titolo dell'intervento proposto