L’Afghanistan ricopre un ruolo speciale nella recente storia russa così come nell’immaginario collettivo del popolo russo. È in questo paese incastonato tra le montagne che si è consumato uno degli ultimi atti della ‘gloriosa’ Unione...
moreL’Afghanistan ricopre un ruolo speciale nella recente storia russa così come nell’immaginario collettivo del popolo russo. È in questo paese incastonato tra le montagne che si è consumato uno degli ultimi atti della ‘gloriosa’ Unione Sovietica che, nei dieci anni di guerra contro i muǧāhidīn, ha visto sgretolarsi lentamente e inesorabilmente la convinzione della sua invincibilità fino a quando, pochi anni dopo, ha assistito alla sua inesorabile dissoluzione che portò all’epilogo della Guerra Fredda, alla vittoria degli Stati Uniti e sancì la ‘fine della storia’ secondo l’allora pensiero di Francis Fukuyama .
Parlando di Afghanistan e Russia potrebbe tornare in mente ai nostalgici il documentario Afgancy, prodotto nel 1988 dalla britannica Yorkshire Television, che descriveva la vita dei soldati russi durante la Guerra in Afghanistan (1979 – 1989) delineandone le difficoltà e una realtà molto meno eroica di quella che gli organi di stampa e comunicazione dell’Unione Sovietica raccontavano ai propri cittadini. Soltanto alcuni anni dopo, nel 1991, il regista russo Vladimir Mazura produrrà Afganec, un film drammatico che narrava le vicende di un soldato dell’Armata Rossa tenuto in prigionia proprio dai muǧāhidīn, una risposta forse o una conferma al documentario britannico.
Ma chi erano gli afgancy e quale è stato il loro destino? Il termine, diffuso nell’Unione Sovietica a indicare i reduci e veterani della Guerra in Afghanistan, è l’emblema di un popolo che ha vissuto la tragedia della guerra afghana tramite la sofferenza dei giovani soldati che andavano a combattere quei muǧāhidīn che, grazie al finanziamento e supporto militare statunitense, riportarono una clamorosa vittoria contro la potente, ma oramai decadente, Unione Sovietica, e che ‘rispedirono a casa nella casse di zinco’ circa 14 mila soldati sovietici .
Due facce della stessa medaglia che si intersecano nella storia russa e che permettono di comprendere quanto il legame tra il mondo russo e quello afghano sia ancora vivo come dimostra, ad esempio, la continua attività della Rossijskij Soûz veteranov Afganistana (Associazione russa dei veterani dell’Afghanistan) fondata nel 1990 che custodisce ‘gelosamente’, ma con fierezza, il Kniga Pamâti o sovetskih voinah, pogibših v Afganistane (Libro della memoria dei soldati sovietici morti in Afghanistan) .
Se la storia non bastasse, la letteratura ha consacrato un posto speciale all’Afghanistan nel mondo culturale russo. La produzione letteraria e scientifica, favorita dalla caduta dell’Unione Sovietica, ha dato vita a diverse opere, alcune delle quali ancora sconosciute ai molti o difficili da reperire. Così nel 1990, poco dopo il ritiro delle forze militari sovietiche dall’Afghanistan, Petra Tkachenko, Evgenij Besschetnov, Ivan Dynin e Elena Losoto pubblicarono i racconti e i ricordi degli afgancy che combatterono o morirono per l’Unione Sovietica confermando la drammaticità degli eventi e la debolezza di un paese che aveva mandato i propri giovani a ‘esportare’ e ‘internazionalizzare’ l’ideologia sovietica in una società basata sui valori tribali e religiosi islamici che aveva sperimentato in pochi anni significativi cambiamenti con il passaggio dalla monarchia alla repubblica .
Queste prime opere hanno lasciato il passo a diversi libri, romanzi, saggi, e ricerche sull’esperienza e presenza sovietica in Afghanistan fino ai nostri giorni data l’esigenza da parte del mondo russo di leggere o rileggere la storia della guerra afghana in una chiave critica o differente: in tale contesto, ad esempio, è possibile collocare la recente pubblicazione scritta dal giornalista Vladimir Snegirev e dall’ex colonnello del KGB nonché orientalista Valerij Samunin nella quale si è descritto l’Afghanistan come un ‘virus’ il cui contagio portò alla dissoluzione dell’Unione Sovietica e, di conseguenza, alla diffusione dell’Islam radicale e del terrorismo nella regione euroasiatica, fenomeno che divenne una delle principali minacce per la Federazione Russa degli anni ’90 e che si unì all’etnonazionalismo ceceno per poi dare vita alla minaccia dell’Emirato del Caucaso nel 2007 .
L’obiettivo che questa ricerca si prefigge è quello di ripercorrere la storia per comprendere se l’attuale governo talebano di Kabul rappresenti una minaccia oppure no per Mosca, delineando il processo storico che lega la Russia all’Afghanistan, o per meglio dire gli afgancy ai muǧāhidīn, prendendo come punto di partenza il 1979 fino ad arrivare al momento del ritiro delle truppe statunitensi da Kabul nell’agosto del 2021 e la conquista del potere da parte dei talebani.
Il processo storico, che si limiterà in questa ricerca a delineare gli eventi principali e ritenuti più importanti dall’autore, verrà contestualizzato nel quadro geopolitico euroasiatico con il fine di indagare le motivazioni che hanno spinto in passato l’Unione Sovietica e spingono oggigiorno la Federazione Russa ad interessarsi alle dinamiche afghane rinsaldando un legame storico-culturale e sociale forte che in maniera troppo frettolosa qualcuno tra le stanze del Cremlino ha cercato di dimenticare.