Sound Ecosystems
2017, Zimoun: 605 prepared dc-motors, cardboard boxes, Galleria Civica di Modena
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Abstract
“605 prepared dc-motors, cardboard boxes” è stata la prima mostra personale in un museo italiano dell’artista svizzero Zimoun, noto per le sue opere che uniscono sound art e architettura degli spazi. L’esposizione ha coinvolto le cinque sale della Palazzina dei Giardini di Modena dal 22/10/2016 al 05/03/2017, ciascuna delle quali è stata abitata da un'installazione cinetica costruita con materiali semplici - scatole di cartone, sfere di cotone, cavi di metallo, legno, etc. - e corredata da sistemi meccanici che generano suoni e rumori. Complessi organismi viventi in grado di abitare lo spazio in cui vengono allestiti per mezzo di un sottile e mai banale rapporto tra suono e volumetria circostante. Attraverso oggetti industriali di uso comune e costruzioni minimaliste, Zimoun esplora il ritmo meccanico, la tensione tra i modelli ordinati del Modernismo e la forza caotica della vita. Nel suo lavoro si riuniscono le competenze dell'ingegnere, dell'architetto, dell'artigiano, del ricercatore, dell'arrangiatore e del direttore d'orchestra. L’esposizione è stata accompagnata dal catalogo "ZIMOUN - 605 prepared dc-motors, cardboard boxes", libro-oggetto sonoro a cura di Filippo Aldovini, autore dei testi insieme al critico e curatore Marco Mancuso, direttore di Digicult. La pubblicazione, in edizioni numerate, è stata disegnata e impaginata da Luca Lattuga con fotografie di Paolo Terzi, ed è prodotta dalla Galleria civica di Modena con al contributo di Scatolificio Cartotecnica Modenese. Il cofanetto riprende nelle fattezze e nei materiali le scelte estetiche dell’artista. Il libro/oggetto è stampato su carta pregiata e confezionato con cucitura filo refe a vista lungo il dorso. Due quadranti in cartone microtriplo avana applicati in I e IV di copertina conferiscono un sapore materico e artigianale al lavoro. Edizione limitata di 400 copie numerate manualmente.
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I l padre della locuzione « Sound installation » è Max Neuhaus ; l'ha adoperata per la prima volta nel 1967, nell'occasione della composizione Drive in Music (Neuhaus 1967). Installazione sonora è, però, una categoria strana e imprecisa. Per due motivi : in primo luogo, perché è formata dalla giustapposizione di due parole prive di una definizione puntuale (almeno il concetto di installazione) ; in secondo luogo, perché la loro unione in una locuzione unica comporta un paradosso logico. Infatti, come si vedrà meglio nel prosieguo di questo breve saggio, nello studio della maggior parte delle installazioni, si evita la dimensione meramente mediale (cui rimanda il termine sound), in favore di quella modale.
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Tracciare le possibili traiettorie di autorappresentazione attivate dall'ascolto per indagare i confini identitari, scoprire le storie che il territorio conserva e svela attraverso le pratiche quotidiane, attraverso le tracce sonore che segnano gli usi dello spazio. È così che la registrazione ambientale (field recording) lavora sul contesto: raccoglie frammenti privati e li ricompone in una storia collettiva, in una narrazione che è scritta dal pubblico e ne preannuncia lo sviluppo endogeno, stimolandone l'autogoverno. Seguendo questo filo l'invito costante è rivolto a interrogare in chiave identitaria la definizione di «patrimonio culturale intangibile». Sarà necessario allora forzare le possibilità offerte dalla passeggiata sonora (soundwalk) come pratica di deriva, per un rinnovato inquadramento estetico e progettuale. Tale attitudine richiama a quegli strumenti partecipativi che si pongono l'obiettivo di raggiungere una prospettiva comune, capace di accogliere le differenze, ammettere la coabitazione tra identità, rileggere le pratiche quotidiane e gli usi in termini di presidio e di cura. Ci troviamo a cavallo tra marginale e liminale, ovvero tra incapacità di autorappresentazione e nuove istanze di resistenza, di sovversione dell'ordine costituito; o ancora tra attori «muti» e nuovi promotori di «gentrificazione». Ed è proprio su questo confine che il paesaggio sonoro si presenta come l'arena dei confronti e dei conflitti identitari, come la metafora viva di uno scontro continuo tra poteri e sistemi di valori. Se esiste infatti un parallelo tra coscienza di luogo e consapevolezza acustica, indagare le modalità per far maturare consapevolezza all'ascolto ci porta a una riflessione più ampia sul «diritto alla città» e sulla costruzione di «beni comuni». Ci spinge a riconsiderare quei beni immateriali capaci di penetrare e condizionare la nostra percezione e le nostre pratiche quotidiane. L'ascolto si rivela pratica essenzialmente relazionale, laddove il lavoro con e attraverso l'ambiente sonoro diventa occasione per scardinare quelle rappresentazioni su cui si fonda l'incapacità di trasformazione. Vogliamo esplorare una prospettiva tanto distante quanto estranea attraverso cui leggere, coinvolgere e lasciarci coinvolgere dalle comunità locali, per interpretare e orientare insieme un ascolto attivante e attivatore del tessuto sociale. Costruire un archivio sonoro dove ogni abitante potrà riconoscersi e raccontarsi, sentendosi parte di una collettività. L'ascolto e la registrazione diventano strumenti di trasformazione dall'interno, luoghi di discussione dove scrivere collettivamente uno statuto provvisorio (e inter-soggettivamente riconosciuto) dell'ambiente sonoro, che sappia guidare consapevolmente le trasformazioni della città e del territorio.
LetteraVentidue, 2020
Un uomo, una sera, vede una persona nei pressi dell’unico lampione della zona. «Cosa state cercando?» chiede. «Ho perso le chiavi». «Le sono cadute qui?». «No, ma questo è l’unico posto dove le posso cercare. Perché solo qui, nel caso, le potrei vedere». L’obiettivo del libro è quello di “accendere una luce”. Per illuminare un terreno che forse da troppo tempo si trova in ombra, e che separa l’affascinante ambito degli studi sul paesaggio sonoro da quello del progetto dell’architettura. Un “lampione” che possa permettere in primis all’architettura di dotarsi di nuovi strumenti per avviare delle forme di progettazione multisensoriale dei luoghi. E al contempo agli studi sul paesaggio sonoro di radicarsi a un solido sfondo, per favorire un effettivo cambiamento dei contesti reali. La contingenza storica per proporre tale riflessione è quantomai matura, vista la prossima imminente trasformazione del paesaggio sonoro urbano, dovuta all’introduzione delle auto elettriche, al diffondersi di nuove tecnologie sostenibili e silenziose, e al contempo di strumenti di riproduzione sempre più rumorosi e portatili. E vista l’ormai inarrestabile evoluzione del percorso del progetto di architettura, che sta determinando un ampliamento delle responsabilità, delle figure e degli ambiti disciplinari coinvolti. Prendere posizione nel mondo significa mettersi in luce, esprimere dei punti di vista, introdurre delle visioni. Dentro a questo pregiudizio linguistico e percettivo, che fin dai tempi di Aristotele ha premiato la vista rispetto alle altre sensazioni, è andata affermandosi una differente modalità di interpretazione dei luoghi, a partire dai cosiddetti “sensi minori”. All’interno delle nostre città tradizionalmente visive, fatte di palazzi, luci, colori, si nascondono altrettante città popolate da suoni, sapori, odori, che influenzano profondamente la percezione dei luoghi, portando alla luce simbologie intime e complesse. Una dimensione svelata proprio dai recenti lockdown, che hanno fatto emergere elementi percettivi normalmente soffocati dal brusio quotidiano, risvegliando un’attenzione assopita. Conoscere questi riferimenti rappresenta un imperativo per coloro che praticano il progetto dell’architettura, nella prospettiva di realizzare in modo più consapevole ambienti adatti e sicuri per la nostra vita. “Città di suono” propone una lettura di questo tema, in una prospettiva multidisciplinare ricca di suggestioni.
Il paesaggio sonoro che la città manifesta attraverso un complesso intreccio di piani acustici, di voci e rumori, è il testimone diretto dei linguaggi, del ritmo, delle dimensioni culturali e dei rapporti (più o meno conflittuali) che la città stessa instaura tanto con le rappresentazioni sociali dominanti quanto con quelle sotterranee. Dedicarsi al paesaggio sonoro vuol dire allora disegnare di volta in volta una mappa costruita su livelli mobili, che elabora confini altri - e spesso contraddittori - a quelli già segnati dall’osservazione. L’ascolto infatti va inteso come una pratica relazionale, un metodo indiziario di supporto all’osservazione: tale supporto risulta indispensabile per dare alla ricerca nuove prospettive. Per questo motivo l’idea di indirizzare l’attenzione verso la dimensione acustica di una città tenta di colmare lo scarto esistente - tanto nel mondo della pianificazione urbanistica quanto in quello delle scienze sociali - tra visione ed ascolto.
2021
Il volume tratta in modo approfondito il suono nell'audiovisivo nei suoi aspetti tecnici ed espressivi, principalmente per film e documentari. I tre autori, noti professionisti del settore, affrontano sia i lati produttivi che postproduttivi, fino all'ascolto dello spettatore, trattando anche la musica per film. Il saggio è impreziosito da una dettagliata cronologia sull'avanzamento scientifico e tecnologico correlato al suono, e da grafiche e fotografie originali. E un'opera per esperti ma anche per appassionati e studenti di cinema. La prefazione è di Claudio Strinati.
Studi di estetica, anno LII, IV serie, 2/2024 Sensibilia, 2024
Published in 1977, The Tuning of the world by Raymond Murray Schafer, inaugurated the soundscape studies, that have shaped much further research, interweaving different disciplinary fields, and are based around the concept of sound as a meta-category that both encompasses and transcends music. These studies invite us to reflect on the relationship between human beings and sound environment, on the responsibility of each individual in sharing the soundscape as a common and collective heritage and, more generally, on the ability to exercise hearing as a medium of understanding of the world.
2019
Una breve tesina sulla nascita della musica ambient e gli effetti di senso che è in grado di produrre.
Can one talk of interspecific culture in pastoralism? This question may be a topic of interest today, thanks to the renewed attention that several disciplines, including anthropology, dedicate to man-animal relationships. The bringing back up to date of a classical theme in anthropology is probably fostered by the substitution of working animals with pets, even in rural settlements; it is like the incorporation, within common sense, of ecological principles and the urgency of ethical topics regarding nature. In this paper I have described some aspects of the relationships established between the goatherd and the animals in a wild and semi-wild goat breeding farm. The paper focusses on the complex dynamics linking the physical habitat (space, time and climate), the ‘animal nature’ (instinct, behaviour observed and volitions) and the work of man, in organisational, relational, emotional and aesthetic terms, as well as anthropopoietic. With the expression ‘goatfold habitat’, I have attempted to highlight the contemporary natural and cultural characteristic of the context in which men, the environment and animals relate to and influence one another, establishing forms of negotiation in meaning and communication. The use of sheep bells represents an efficient example of dialogue with nature. Although the theme opens many perspectives, this paper concentrates beautifully on the anthropological view, with the aim of interpreting the structural and defining process of man in a context in which the animal is the central focus. Si può parlare di cultura interspecifica nel pastoralismo? La domanda può essere oggi argomento d’interesse, grazie anche alla rinnovata attenzione che varie discipline, compresa l’antropologia, riservano al tema del rapporto uomo-animale. La riattualizzazione di un tema classico dell’antropologia è probabilmente favorita dalla sostituzione degli animali d’utilità con i pet (animali d’affezione) anche negli insediamenti rurali, così come dall’assimilazione nel senso comune di principi ecologisti e dall’urgenza dei temi etici che riguardano la natura. Nel saggio ho voluto descrivere alcuni aspetti della relazione che si stabilisce tra il pastore e gli animali nell’allevamento caprino brado e semibrado, cercando di focalizzare l’attenzione sulla complessa dinamica che lega unitariamente l’habitat fisico (lo spazio, il tempo, il clima), la “natura animale” (l’istinto, i comportamenti appresi, le volizioni) e il lavoro umano, nei suoi aspetti organizzativi, relazionali, emotivi, estetici ma anche antropopoietici. Ricorrendo all’espressione di “habitat-caprile”, ho voluto sottolineare il carattere contemporaneamente naturale e culturale del contesto in cui uomini, ambiente e animali si relazionano e si influenzano, stabilendo forme negoziali di significazione e di comunicazione. L’impiego dei suoni dei campanacci rappresenta in questo ambito un efficace esempio del dialogo con la natura. L’interesse per queste tematiche, pur aprendo a differenti prospettive, rimane in questo saggio squisitamente antropologico, nell’intento di interpretare le modalità di strutturazione e di definizione dell’umano in contesti in cui l’animalità è centrale.

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