Veronica Fucci - Gioacchino Conti detto Gizziello, musico del secolo XVIII (Abstract), 2006
Arpino, piccola città nei pressi di Frosinone, nel secolo decimottavo è sicuramente una città mol... more Arpino, piccola città nei pressi di Frosinone, nel secolo decimottavo è sicuramente una città molto fiorente dal punto di vista economico. Fondamentalmente, vi si trovano manifatture di lana, concerie ed è proprio alla categoria dei conciatori di pellami che appartengono, probabilmente da almeno tre generazioni, Marcantonio Conte ( o Conti) e, prima di lui il padre Giuseppe Conte. Nato nel 1674, Marcantonio Conte, poi Conti sposa nel 1699 Dorodea Merluzzi. Poco meno di un anno dopo le nozze, nasce Giustiniano Pierangelo, primo figlio. La famiglia inizia ben presto ad allargarsi e nel 1699 nasce una bambina Barbara Rosalinda. Due anni dopo, la coppia ha un'altra figlia, Maria Agnese, che però muore piccolissima, a quattro anni. Seguono nei successivi dieci anni ben altri cinque figli, Gaetana, Santo, Flaminia, Antonio Crescenzo e Giuseppe Domenico Antonio. Il 27 Febbraio 1714, un martedì, tra le mura di una casa situata molto probabilmente nei pressi dell'odierna Piazza Conti, fa sentire per la prima volta la sua voce un bambino, sesto maschio, nonché nono figlio della lunga "sequenza". Al bambino, vengono imposti i nomi di Gioacchino Domenico Antonio 1 , dimostrando così da un lato la volontà di legarsi alla tradizione familiare (il padre di Dorodea si chiamava Antonio) e dall'altro la scarsissima 1 Arpino A.S.P. S. Michele Arcangelo, Registri Battesimi, vol. V, 1702-1723.
Era inevitabile che, studiando approfonditamente la figura di Gizziello, sia come essecutore, qui... more Era inevitabile che, studiando approfonditamente la figura di Gizziello, sia come essecutore, quindi dal punto di vista strettaemnte "tecnico", che da quello meramente umano, mi imbattessi dopo poco nella figura di un altro illustre musico arpinate: Giuseppe Sidoti. Ebbene, sapevo già che egli era un compatriota di Gizziello, che aveva un fratello, anch'egli cantante, attivo nientepopodimenoche alla corte del re di Prussia Federico il Grande (chi legge sa già o potrà sapere come egli sia un altro personaggio cui mi dedico da tempo) e che il Grossi-nella sua Biografia degli Uomini illustri del Regno di Napoli-lo definiva, semplificando abbastanza la questione, come compagno del celebre Gizzielli. Giuseppe Sidoti proveniva come Gizziello dalla preziosa scuola di canto di Domenico Gizzi, anch'egli originiario di Arpino e, a quanto apprendiamo da numerose fonte, ottimo maestro di canto nonché persona generosa. Sidoti divide spesso il palcoscenico con Gizziello e Caffarelli, come negli anni 1748-49 dove a Roma interpreta, nelle vesti di prima donna, le opere Lucio Papirio Dittatore di Gennaro Manna, Arminio di Gioacchino Cocchi e Artaserse di Giuseppe Jommelli. Nel raccogliere le arie che egli cantò in queste opere, per i miei progetti incentrati sui due soprani arpinati, ho potuto notare come i compositori affidassero al musico, una scrittura certo non spericolata, bensì momenti in cui la prima donna potesse esprimere lo sdegno con arie "parlate" e sillabiche e attimi in cui viceversa manifestasse il languore amoroso con una scrittura (pensiamo a Jommelli) più "galante". Da notare che nei duetti con Gizziello in Arminio e Artaserse, è il primo uomo (Gizziello) a svettare e Sidoti (la prima donna) rimane quasi costantemente e quasi timidamente, ad una terza sotto.
Quando, ormai più di 20 anni fa, già appassionata ed interessata al repertorio dei castrati, avev... more Quando, ormai più di 20 anni fa, già appassionata ed interessata al repertorio dei castrati, avevo deciso di scegliere un musico cantore per le mie ricerche accademiche e di cantante, ero ben sicura di voler occuparmi di una figura fino a quel momento poco considerata o considerata in modo superficiale. La scelta ricadde su Gioacchino Conti meglio noto come Gizziello che, del quale si sapeva veramente pochino e che, inoltre mi affascinava per il carattere affabile e disponibile, che a quanto narravano le fonti, pareva completamente diverso dal tipico castrato. C'è da dire che per analogie caratteriali e non solo, forse avrei dovuto optare per Caffarelli, ma come dice Artabano in Artaserse "l'amo appunto perché non mi somiglia ". Ecco dunque che ho cominciato ad esaminare il repertorio di questo cantante prima partendo dai ruoli conosciuti e poi riportando alla luce un'enorme quantità di arie inedite. Se all'inizio della carriera, Gizziello esegue per primi ruoli che erano stati scritti per altri cantanti (vedi Marziano nella Salustia pergolesiana), successivamente il suo repertorio si arricchisce con ruoli espressamente pensati per lui. Su tutti dominano i personaggi interpretati a Londra negli anni 1736-37 composti per lui da Haendel. Il Maestro intuisce immediatamente le potenzialità del giovane cantante e mira a metterne in evidenza il nitore vocale e la splendida gamma acuta. Osa per lui un Do5 per due volte in Atalanta e in Arminio. Le colorature, tranne eccezioni di arie prettamente "acrobatiche" sono parche e mirano perlopiù a creare delle vere e proprie "amplificazioni " dei concetti espressi nei libretti. Anzi, spesso Haendel gioca e punta proprio su quest'alternanza tra momenti languidi e serie, non lunghissime, di agilità. Non mancano arie dove, Gizziello può evidenziare la purezza e la morbidezza del suo legato (cfr. M'allontano sdegnose pupille) e la soavità dell'espressione che subito anche a Londra gli viene riconosciuta. Dopo un periodo di perfezionamento, unito all'utilissima esperienza inglese, il cantante torna costantemente sulle scene e negli anni 1738-42 circa viene privilegiata quella spiccata e naturale propensione per il bello di cui parlerà Florimo. Leo, per esempio compone per Gizziello pagine di un profondo lirismo, in cui però il languore non è mai ordinario o fine a se stesso, ma diventa assolutamente nobile, nell'uso studiato delle progressioni, delle appoggiature e degli intervalli ampi che evidenziano la sicurezza dell'intonazione del musico, sempre perfetta. Un periodo di forzato riposo, costringe poi Gizziello a rinunciare per un po' a particolari fatiche virtuosistiche, ma le splendide interpretazioni del 1746 all'Argentina e nel 1747 a Napoli, lo ripagano dei suoi sacrifici. Jommelli regala, grazie alla su voce di Gizziello, al suo Cajo Mario momenti di uno splendore virtuosistico, che niente hanno da invidiare alle arie concepite per un Caffarelli o un Farinelli. Il compositore si sbizzarrisce, come d'altronde è nel suo stile, nella ricerca di particolari colori e timbri che possano sposarsi e allo stesso tempo evidenziare lo splendido Annio di Gizziello e il suo dolce lamento (cfr. Se perde l'usignolo). Lo stesso virtuosismo, portato addirittura all'eccesso coni mia somma gioia, si riscontra nelle arie che Duni appronterà per il cantante nel Catone in Utica come Minacci quell'altera, aria d'ira espressamente inserita nell'opera per il cantante. Se si dovessero elencare le ingiustizie di cui è stata "vittima" la figura di Gioacchino Conti, sarebbe doveroso evidenziare com'egli sia stato ricordato quasi esclusivamente come un cantante patetico e re dell'espressione, dimenticando in toto le splendide arie virtuosistiche che egli durante la sua carriera comunque cantò e che, garantisco, mettono l'interprete a dura prova, non meno delle più note (almeno fino a quando non ho riportato alla luce gli inediti gizzielliani) arie scritte per Carlo Broschi Farinelli. Viene evidenziata quindi da Duni l'ampia estensione di Gizziello che molto probabilmente intorno al 1746 ha "arrotondato" il registro medio e grave e può evidenziare un canto di sbalzo che spesso ritroveremo in arie composte per lui dai maestri italiani. Già Leonardo Leo sfrutta questa caratteristica di Gizziello nel Ciro riconosciuto, opera che con altre dimostra come, in un certo senso, il musico rappresenti per la vocalità e per il "belcanto" un anello di congiunzione tra lo stile barocco e quello galante. Un esempio a proposito è la musica di Gioacchino Cocchi, che nella scelta delle colorature, così come nella loro lunghezza diviene più funzionale all'espressione dei sentimenti. Un aspetto che forse i compositori hanno voluto evidenziare (ma questa è un'ipotesi) è la peculiarità del carattere di Gizziello, così diverso da quello degli altri virtuosi, un carattere mite e amabile che forse ha influito, non solo sulla mia scelta di ricerca, ma anche sulla tipologia dei personaggi interpretati.
Prima figlio amato e vezzeggiato di Re Federico Guglielmo, che ne vuole fare un soldato, degno de... more Prima figlio amato e vezzeggiato di Re Federico Guglielmo, che ne vuole fare un soldato, degno della corona prussiana, poi giovane uomo osteggiato dallo stesso padre che non ne approva la sensibilità, il buon gusto e l'amore sconfinato per la musica e le arti. Finalmente libero dalla tirannia del padre, che sa in ogni caso, quale degno erede abbia lasciato, eccolo giovane re affascinante, che incanta e nello stesso tempo sconvolge tutti con la sua apertura di vedute e con la crescente e sfacciata abilità militare che turba i piani e il sonno di tutti i sovrani d'Europa. Diversamente da tutti, Federico non ama né il fasto né la pompa e trova il suo "nido" nel piccolo palazzo di Sans Souci che si fa costruire nei pressi di Potsdam. Qui, in compagnia delle sue piccole levriere italiane, porta avanti il lavoro praticamente da solo, quando può si gode la compagna degli adorati amici e fa musica suonando l'amatissimo flauto.
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