
Antonio Ferrara
Ha compiuto gli studi musicali in violino con il maestro Roberto Bisello.
Si è laureato in lettere moderne presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi Federico II di Napoli con una tesi in storia della musica dal titolo Pastiche musicale novecentesco: il ruolo di Sergej Djagilev e della compagnia dei Ballets russes.
Dottore di ricerca in Storia, scienze e tecniche della musica presso l’Università degli studi di Roma “Tor Vergata” con una tesi dal titolo Musica e cinema in Italia (1930-1950): dibattito e produzione.
Ha partecipato in qualità di relatore a diversi convegni, in Italia e all’estero.
Attualmente è il referente per il gruppo di ricerca su “La critica musicale e la musica per film” della Fondazione Ugo e Olga Levi di Venezia.
Antonio Ferrara received his laurea in Italian Studies (History of Music) from the Università di Napoli ‘Federico II’, discussing the thesis Pastiche musicale novecentesco: il ruolo di Sergej Djagilev e della compagnia dei Ballets russes. On 2016 he obtained his Ph. D. in History, Science and Music Techniques (Musicology) at the University of Rome ‘Tor Vergata’: Musica e cinema in Italia (1930-1950): dibattito e produzione. He participated as a speaker at several national and international conferences. His field of study focuses on the history of 20th-century music and, in particular, film music. He is a member of La critica musicale e la musica per film, a research project of Venice’s Ugo and Olga Levi Foundation.
Si è laureato in lettere moderne presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi Federico II di Napoli con una tesi in storia della musica dal titolo Pastiche musicale novecentesco: il ruolo di Sergej Djagilev e della compagnia dei Ballets russes.
Dottore di ricerca in Storia, scienze e tecniche della musica presso l’Università degli studi di Roma “Tor Vergata” con una tesi dal titolo Musica e cinema in Italia (1930-1950): dibattito e produzione.
Ha partecipato in qualità di relatore a diversi convegni, in Italia e all’estero.
Attualmente è il referente per il gruppo di ricerca su “La critica musicale e la musica per film” della Fondazione Ugo e Olga Levi di Venezia.
Antonio Ferrara received his laurea in Italian Studies (History of Music) from the Università di Napoli ‘Federico II’, discussing the thesis Pastiche musicale novecentesco: il ruolo di Sergej Djagilev e della compagnia dei Ballets russes. On 2016 he obtained his Ph. D. in History, Science and Music Techniques (Musicology) at the University of Rome ‘Tor Vergata’: Musica e cinema in Italia (1930-1950): dibattito e produzione. He participated as a speaker at several national and international conferences. His field of study focuses on the history of 20th-century music and, in particular, film music. He is a member of La critica musicale e la musica per film, a research project of Venice’s Ugo and Olga Levi Foundation.
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Conference Presentations by Antonio Ferrara
Focusing on the efforts of the Sindacato fascista dei musicisti (Fascist Musicians' Union) to assert its influence over the film industry, the study reconstructs key debates, controversies, and institutional setbacks between 1933 and 1937. The analysis draws on articles from union periodicals (Il Bollettino dei musicisti, Il Musicista) and documents from the archives of SIAE, LUCE, and the Ministry of Popular Culture (MinCulPop). It shows how film music remained marginal to both artistic and production decisions, and how the union ultimately failed to achieve any meaningful control.
These failures reflect deeper tensions among competing regime institutions, whose agendas often diverged or conflicted. While music was celebrated in public discourse, it was more commonly deployed as a flexible tool of nationalist propaganda. The most tangible consequences were economic, particularly in relation to the management of piccoli diritti musicali (small music rights). This dynamic is especially evident in peripheral production areas such as LUCE newsreels, frequently overloaded with music, and imported films, which were often entirely rescored for the Italian market.
The case of composer Alessandro Cicognini, whose initial enthusiasm gave way to profound disillusionment, exemplifies the frustrated aspirations of a generation of musicians caught between artistic ambition and institutional marginalization under the regime.
Sarà proprio questa ricognizione sugli elementi di continuità tra la pregressa filmografia rotiana e l’allestimento musicale per I vitelloni ad indicare possibili ulteriori chiavi di lettura per questo film.
In questo mio contributo intendo indagare sul ruolo svolto dal Sindacato fascista musicisti per incrementare la presenza di musica inedita scritta da compositori italiani nella produzione cinematografica nazionale, non solo per il cinema di finzione, ma anche per i cinegiornali dell’Istituto Luce che, almeno dal punto di vista quantitativo, hanno avuto un impatto forse più rilevante nel meccanismo di ingaggi e di committenze cinematografiche. In parallelo, intendo verificare quanto abbia inciso questo Sindacato sulle scelte di politica produttiva in campo musicale della nascente Direzione Generale del Cinematografo, diretta da Luigi Freddi, interessato a lasciare un segno profondo anche in questo specifico campo della produzione cinematografica nazionale.
Attraverso lo spoglio sistematico degli articoli pubblicati dall’organo del Sindacato, prima denominato “Bollettino dei musicisti” (1933-1937) e poi “Il musicista” (1937-1943), intendo dunque ripercorrere alcuni di questi passaggi sugli indirizzi di politica produttiva imposti dal regime nel campo della musica cinematografica, ancora del tutto ignoti alla letteratura storiografica musicale.
Sebastian Bach solo in maniera del tutto occasionale. Questa marginalità ha avuto naturalmente un suo riflesso nel pur ricco e variegato dibattito nazionale sulla musica cinematografica. Non mancano riflessioni e considerazioni, spesso sotto forma di denuncia, sulle presenze musicali ‘elevate’ nel cinema; non solo per i biopics musicali e le numerose rielaborazioni tratte dal glorioso patrimonio del melodramma, ma anche per gli utilizzi extradiegetici di musiche dell’accattivante repertorio romantico e postromantico di matrice nordeuropea. È solo con l’uscita nelle sale cinematografiche italiane del disneyano Fantasia, in circolazione nel Dopoguerra dopo il blocco autarchico imposto dal regime fascista, che anche la monumentale musica bachiana entra nel dibattito filmicomusicale.
Tra i vari pezzi scelti da Disney per la sua prestigiosa animazione musicale, anche la trasfigurazione in forme e colori della versione orchestrale della Toccata e fuga in re minore, scritta e diretta da Leopold Stokovski, desta l’attenzione di compositori e critici musicali italiani; incluso quelli che fino a quel momento si erano del tutto disinteressati al cinema e alla musica cinematografica. Sono del ‘47, ad esempio, due articoli scritti da Alfredo Parente e Adriano Lualdi, pubblicati rispettivamente sulla Rassegna musicale e sulla Rivista musicale italiana. Pur con posizioni diverse sulla trasfigurazione visiva del pezzo bachiano ‒ è singolare il disinteresse verso l’operazione musicale compiuta da Stokovski ‒ l’atteggiamento nei confronti di Disney è sorprendente benevolo: posizioni e punti di vista che cambiano e si articolano in successivi contributi apparsi nel decennio successivo su
importanti riviste cinematografiche italiane. A partire dagli articoli e dai
saggi dedicati a Fantasia, questo contributo intende individuare posizioni e linee di pensiero, emerse dal dibattito italiano sulla musica per film, sulla presenza cinematografica della musica di Bach dall’inizio del sonoro fino alle soglie degli anni Cinquanta.
Ideato da Guido M. Gatti, noto critico musicale e amministratore delegato della Lux Film, curato e diretto dal regista Glauco Pellegrini, il programma, condotto da Giulietta Masina, è composto da una serie di interviste a registi, compositori, attori e critici cinematografici, dalle registrazione delle due orchestre della RAI (di musica sinfonica e di musica leggera), che eseguono alcuni brani musicali tratti dal repertorio cinematografico, e da un’ampia e variegata antologia di sequenze filmico-musicali. A corollario dell’evento televisivo, le edizioni di Bianco e Nero pubblicano l’anno successivo un volume, che prende lo stesso titolo del programma, nel quale sono in gran parte trascritti i testi degli interventi delle sei puntate televisive. È all’interno di questo contenitore inusuale che i compositori di musica per film, più o meno specialisti, indicano alla grande massa degli spettatori linee interpretative sulla presenza della loro musica nelle sequenze cinematografiche selezionate per l’occasione. A sedici anni dal Settimo congresso internazionale di musica (1950), altra grande occasione di confronto su questo argomento, i nomi dei compositori coinvolti nel programma sono quasi del tutto mutati e i contenuti dei loro discorsi sembrano essere molto ontani da quelli precedenti. Sono le numerose modifiche rispetto all’idea iniziale del programma a indicare che, ormai, un nuovo punto di vista si era imposta nel dibattito filmico-musicale italiano.
The story began at the beginning of the twentieth century and involved Samson’s author as honorary president of the Société des instruments anciens: a small ensemble founded in Paris in 1901 by Henri Casadesus who had the peculiarity of performing with old instruments on a repertoire of unpublished pieces from the seventeenth and eighteenth centuries, made by composers (often little known) belonging to the most important European musical traditions. The declared intention of the Société was to “reconstituer fidèlement l’ensemble des sonorités qu’employaient les compositeurs de l’époque" through a repertoire of completely unknown pieces, ‘discovered’ in unspecified French and foreign libraries. The members of the ensemble belonged almost all to the same family as the founder, but there was no lack of external participation such as that of the young Alfredo Casella, hired as harpsichordist in the first decade of the twentieth century. The vague indications in the brochures on the unknown pieces proposed by Société and the absence of feedback in the musicological literature have raised more than a few doubts about the true origin of this repertoire.
The reason for Saint-Saëns’ authoritativeness as a famous composer for such a faded musical story remains unknown.
Dal 1933 al 1950, in quattro dei sette congressi (1933, 1937, 1939, 1950) ed in uno dei cinque convegni nella Seconda edizione del Maggio (1935), sono state lette quasi cinquanta relazioni che hanno declinato la questione cine-musicale sotto vari aspetti (estetico, tecnico, produttivo) e da più punti di vista: geografici (Italia, Francia, Germania, Inghilterra e Stati Uniti) e professionali (compositori, critici, letterati, teorici e registi). La notevole portata di tale evidenza non è stata rilevata dalla storiografia musicale presumibilmente a causa della damnatio memoriae subita dalle riunioni nelle quali il tema filmico-musicale fu scelto come argomento monotematico.
Il prezioso giacimento di contributi accumulati nel convegno “la musica per il film” (1935) e nel Settimo congresso internazionale di musica (1950) non ebbe, infatti, la sua naturale destinazione nella pubblicazione degli atti (una piccola selezione delle relazioni del Settimo congresso fu pubblicata solo nel 1959). Pur non avendo riscontrato una volontà manifesta di lasciare inedite le relazioni presentate, questa malaugurata coincidenza ha condannato, di fatto, questi due simposi al parziale o totale oblio.
Nel presente contributo intendo proporre il lavoro di ricostruzione storiografica svolto proprio su questi due simposi.
L’ampia ricognizione svolta sulle fonti individuate (ricerche d’archivio, cronache su riviste e quotidiani ed articoli associabili, laddove è stato possibile, alle relazioni presentate) ha consentito la ricomposizione dei contesti nei quali si è profilata l’organizzazione del convegno e del congresso – entrambi caratterizzati anche dalla programmazione di piccole rassegne cinematografiche – nonché la ricostruzione del dibattito, con i suoi protagonisti e i suoi principali nodi problematici.
In tal modo, intendo fornire due precisi punti di riferimento per i possibili confronti, sincronici e diacronici, con i più noti contributi teorici e contribuire alla verifica, eventuale, sulle possibili ricadute di alcuni elementi emersi dal dibattito nella produzione filmico-musicale.
Per la scelta musicale di questo balletto Djagilev aveva, dunque, interpellato il violista Casadesus che, già dal 1901, con il beneplacito di Camille Saint-Saëns, aveva fondato una Société des instruments anciens, costituita prevalentemente da membri della famiglia Casadesus e per un breve periodo anche dal giovane Alfredo Casella, nel cui repertorio erano presenti anche le due composizioni di Montéclair utilizzate per il balletto.
La Société, la cui attività si sviluppò per più di un trentennio, aveva nel suo repertorio composizioni inedite e sconosciute di compositori del XVII e XVIII secolo provenienti dalle più importanti aree geografiche musicali europee. Tutte le composizioni, secondo quanto riportato dalla brochure di presentazione dell’ensemble, era costituito da composizioni “scoperte” da Henri Casadesus in non meglio precisati archivi pubblici e privati. Alla verifica dell'esistenza di queste composizioni, però, emerge più di qualche dubbio sull'effettiva esistenza di queste “scoperte”, confermato, tra le righe, dalle rare testimonianze di coloro che frequentarono la Société.
L’attività di questo gruppo musicale, pressoché sconosciuta alla letteratura musicologica, sembra dunque paragonabile a quella del violinista Fritz Kreisler (1875–1962) che, per “allargare” il suo repertorio, era solito comporre pezzi nello stile del secolo XVIII e presentarli al pubblico come composizioni inedite di Couperin, Porpora, Pugnani e Vivaldi, ecc.
L'utilizzo del quintone, della viola d'amore, della viola da gamba, del basso di viola e del clavicembalo rende però il “caso” della Société des instruments anciens ancora più interessante per la presunta proposta filologica delle esecuzioni strumentali e fornisce nuovi elementi di conoscenza dei differenti percorsi di riscoperta della musica del passato che si svilupparono in quegli anni non solo nello sviluppo degli studi musicologici ma anche nelle sale da concerto.