INTRODUZIONE L'interpretazione critica di Spinoza della seconda metà del secolo scorso, nel tentativo di risolvere le difficoltà insite nel capitolo sulla democrazia nel Trattato politico appare polarizzata in due soluzioni opposte,...
moreINTRODUZIONE L'interpretazione critica di Spinoza della seconda metà del secolo scorso, nel tentativo di risolvere le difficoltà insite nel capitolo sulla democrazia nel Trattato politico appare polarizzata in due soluzioni opposte, entrambe insoddisfacenti, che per comodità possiamo descrivere come liberale e neomarxista. Nell'interpretazione liberale, rappresentata in Italia da Paolo Cristofolini, lo spinozismo appare come una filosofia per la salvezza di pochi, esaltazione dell'intelletto della singolarità autonoma e attiva del saggio, il quale soltanto può divenire guida, in fondo paternalistica, di una moltitudine altrimenti incapace di auto-educarsi. Contro questa prospettiva e apparentemente agli antipodi di essa, vi è l'interpretazione neomarxista, rappresentata in particolare da Antonio Negri, che mette al centro il concetto di "moltitudine" e vede nello spinozismo un nuovo strumento politico per l'azione di essa, e in Spinoza il garante della potenza dei molti contro l'egemonia dei pochi. In questo lavoro cercheremo di dimostrare una prospettiva che supera queste due soluzioni opposte, e dalla quale, anzi, esse mostrano una sorprendente analogia. Se infatti si osserva come la natura umana nello spinozismo sia tanto passiva quanto attiva, e non ammetta quindi una differenza sostanziale tra il saggio e l'ignorante, entrambe le prospettivequella cristofoliniana e quella negrianaappaiono viziate dal presupposto di una radicale scissione tra intelletto, ragione e immaginazione. Questa scissione, oltre ad essere una forzatura ermeneutica dello spinozismo, è in contraddizione con la sua ontologia e la sua etica. Contrariamente, questo lavoro sosterrà che è proprio il connubio, e non il conflitto, tra intelletto e immaginazione, a costituire lo spazio di pensiero e di azione per organizzare ovvero «ordinare» la vita del singolo per una moltitudine intelligente, autonoma e libera. Partiremo dall'idea di «ordine», un termine che occorre trentatré volte nell'Etica, ma attraversa come un filo rosso tutta l'opera di Spinoza. L'ordo spinoziano, infatti, esibisce una coerenza semantica tale per cui non è possibile intenderlo né esclusivamente dal punto di vista metodologico ed epistemologico, né separatamente da un punto di vista metafisico e ontologico. Questo implica che esso non sia un concetto marginale, ma anzi attraversi tutta la riflessione spinoziana. Se l'ordine del pensiero è lo stesso dell'ordine delle cose, non vi sarà soluzione di continuità tra corpo e mente, tra affezioni e idee, tra immaginazione, ragione e intelletto, ma vi dovrà essere, in qualche modo, continuità assoluta: quest'ultima, infatti, è necessaria non solo dal momento in cui si sostiene che quella spinoziana sia una filosofia dell'immanenza, ma anche