Direzione Nova

Ritornerò dentro la cerchia amabile dei tuoi monti, alle vie che si prolungano come squilli. Poi tosto in uno strano silenzio fuggirò ritrovi, amici. Ma cercherò il soldato Salamano, il più duro a parole, il più al dovere fermo, che in sé la tua virtù rispecchia. Cercherò l'officina ov'egli invecchia. (Umberto Saba) Di Torino si è detto molto, molto si è scritto, molte e diverse sono le immagini che ne sono state date. Dalla città militare a quella sportiva e ai suoi mitici football clubs, dalla città delle opere pie, di Giuseppe Benedetto Cottolengo e dei santi sociali, a quella che fu la culla in Italia del cinematografo e della radio, dalla capitale dei duchi di Savoia, dei re di Sardegna e, per breve tempo, del Regno d'Italia, a quella dell'industria e alle sue nuove vocazioni. Dal reticolo viario romano radicatosi per tanti secoli nella mente dei suoi abitanti, alla città alla francese così diversa dalle altre città italiane, dalla città dei nobili dell'Ancien di Torino, così ha scritto: «C'è una presenza di assoluto protagonismo di Torino nelle rotture più vistose della storia nazionale, ogni volta che la passione e la mobilitazione della società civile è riuscita a spezzare la crosta degli immobilismi politici». Torino è stata ed è tutto questo. Di una storia lunga e contraddittoria la città conserva tracce nella sua pianta, nei suoi luoghi di memoria: la Porta Palatina, il 3 ENRICO CASTELNUOVO, ENRICA PAGELLA, PAOLA BOCCALATTE Arti a Torino. Una cronaca di venti secoli

La sostenuta qualità formale e la consistenza numerica suggeriscono di attribuire al corpus di vetrate conservato ad Aosta, nella collegiata dei Santi Pietro ed Orso e nella cattedrale di Santa Maria Assunta, un posto di primo piano non solo nel contesto figurativo valdostano, ma più in generale nella produzione artistica tardomedievale su entrambi i versanti delle Alpi occidentali. Pietro Toesca fu tra i primi a riconoscere il valore di questi testi, avviando un dibattito critico che vede ancora oggi confrontarsi ipotesi differenti in merito alla datazione, cultura e provenienza dei maestri che li realizzarono. L'identificazione del magister Bodichinus verrerius, citato tra il 1495 ed il 1498 nei Computa sancti Ursi, con il Jean Baudichon attestato a Chambéry nel 1497 e successivamente qui menzionato tra il 1510 ed il 1525 per lavori alle vetrate del castello e della Sainte-Chapelle, consente di sottrarre, almeno in parte, i cantieri vetrari valdostani al loro isolamento. Risulta invece priva di effettivo riscontro documentario la cruciale notizia, riportata da Marguerite Roques nel 1963 e ripresa in rapporto alle vetrate aostane da Elena Dolino, della presenza a Lione nel 1494 di un Jean Baudichon peintre flamand: un riferimento verso la Francia centro-orientale che, seppure indebolito sul fronte documentario, rimane pertinente al fine di inquadrare culturalmente i cicli vetrari aostani. 2 Alla committenza del priore ursino Giorgio di Challant sono legate le cinque vetrate presenti nell'abside della collegiata (figg. 1, 3, 5, 7-8), contrassegnate dal suo stemma timbrato dal bastone priorale, blasone che nella vetrata con San Giovanni Battista ha per tenenti un grifone d'oro ed un leone d'argento; una scelta da intendersi come esibito riferimento all'appartenenza dello Challant al Capitolo della Cattedrale di Saint-Jean a Lione, il cui stemma presenta infatti i due animali affrontati. 3 Dalla cappella del castello di Issogne provengono invece i due antelli con Gesù tra i Dottori e la Fuga in Egitto del Museo Civico di Arte Antica di Torino (figg. 15-16), parte organica degli interventi di rinnovamento dell'edificio promossi da Giorgio di Challant, da collegare con probabilità ad un pagamento del febbraio 1504 all'altro maestro vetraio attestato nei cantieri valdostani: magistro Petro Vaser factori verreriarum in deducionem sui operis facti Yssognye. Il corpus annovera poi un antello con l'Adorazione dei Magi conservato nella parrocchiale di Verrone Biellese, da ritenere parte della produzione di Pietro Vaser con una data intorno al 1500, e ventidue vetrate nella cattedrale, esito queste ultime della committenza congiunta del vescovo François de Prez, del Capitolo della Cattedrale -di cui era parte anche lo Challant, in qualità di arcidiacono -e del laicato aostano.

Prefazione 5 Introduzione 9 I. Parigi, Vienna, Bruxelles e Berlino. Per la fortuna critica della Madonna del Bigorio 25 II. La Vergine col Bambino e un pappagallo: Intorno all'iconografia della pala del Bigorio 33 III. La Madonnina del Bigorio nel contesto dell'arte fiamminga del Cinquecento 43 1. Un modello fortunato: la Sacra Famiglia di Pieter Coecke van Aelst 2. Il gruppo detto del Maestro del Figliol Prodigo: autografia, serialità e adattamenti nell'arte fiamminga del pieno Cinquecento 3. Variazioni sul tema: La Madonna col Bambino e pappagallo in un paesaggio 4. La Madonnina del Bigorio e il gruppo del "Maestro del Figliol Prodigo": specificità tecniche ed esecutive IV. Dalle Fiandre al Bigorio: vicende storiche della pala della Madonna col Bambino 75 V. Indagini scientifiche non-invasive sulla tavola del Bigorio 81 di Francesca Piqué 1. Disegno preparatorio 2. Stesure pittoriche 3. Pigmenti Bibliografia 96 Crediti fotografici 99 12 non mancherà -ne siamo certi -di renderne subito evidenti molti dei motivi di interesse, nonché di sorprendere tutti coloro che, fino ad oggi, non hanno potuto osservare da vicino l'ancona capriaschese. I miei ringraziamenti vanno anzitutto alla Associazione degli Amici del Bigorio, convinti promotori di questa iniziativa, ed in particolare al loro segretario, l'architetto Marcello Bernardi, la cui passione e fermezza hanno consentito di condurre in porto questo progetto. A frate Roberto Pasotti, anima storica del convento, per la costante disponibilità e per la squisita ospitalità di cui fa oggetto i visitatori del Bigorio. A Roberto Mazzantini e alla Mazzantini & Associati per l'assistenza nell'impaginazione del presente volume. Alla Fontana Edizioni per la professionalità mostrata. Nella stesura di queste pagine ho potuto contare sulla disponibilità di Gianni Romano, che ha seguito a distanza le varie fasi di questo progetto, Francesca Piqué, con la quale ho discusso gli esiti delle indagini non invasive da lei condotte sulla pala del Bigorio, e ancora Giovanni Agosti, Edoardo Agustoni, Jacopo Stoppa, Ellis Konowitz, Jean De Maere e Aleksandra Janiszewska. I miei ringraziamenti vanno infine al personale delle biblioteche di Berlino, Parigi, Londra, Washington, Firenze e Monaco di Baviera e dei musei di San Pietroburgo, Vienna, Lugano, Friburgo, Berlino e Cleveland, che, a vario titolo, hanno favorito grandemente queste mie ricerche. La dedica è a Laura, per i suoi luminosi novant'anni.

L’arco alpino occidentale tra Quattro e Cinquecento è un’area di vivace circolazione di persone, manufatti e idee. Frammentata dalle griglie interpretative emerse con i moderni Stati-nazione, questa regione si è imposta tra i laboratori di metodo della storia dell’arte italiana del secondo Novecento. Ma come affrontare lo studio del locale oggi, in un’epoca percorsa da rivendicazioni identitarie, istanze europee e spinte globaliste?
Esplorando su nuove basi la cultura figurativa della Valle d’Aosta, questo libro ne indaga i molteplici legami con altri centri delle Alpi e della pianura padana, da Lione a Ginevra, da Chambéry a Casale Monferrato. A emergere è una visione inedita dello spazio culturale alpino nella sua complessità, nonché una riflessione di metodo sugli schemi interpretativi e sulle metafore – spaziali e non – adottati dalla storia dell’arte nel suo operare e fare storia.

This article explores the practices of drawing counter-proofing and left-right-reversed ‘reproductive’ printmaking that characterize the Parisian artistic milieu in the first half of the 18th century. Its aim is to reconsider the interest for the “sujet des deux cotés” (Dezallier d’Argenville, with reference to Antoine Watteau’s use of counterproofs) as part of broader aesthetic and epistemic discourses involving the lateral orientation of images.
Focusing on the strategies of medial translation of Watteau’s drawings in the Recueil Julienne and of early modern drawings in the Recueil Crozat, this paper argues that both drawing counterproofs and reversed prints contribute to highlighting the historical and cultural relevance of images that exist in both their possible lateral orientations.

Review of: Laurence Bertrand Dorléac, Pour en finir avec la nature morte,Collection Arts et Artistes, Paris: Gallimard 2020; Les Choses. Une histoire de la nature morte, exhibition curated by Laurence Bertrand Dorléac, Musée du Louvre, Paris, 12 October 2022–23 January 2023; Les Choses. Une histoire de la nature morte (exh. cat. Paris, Musée du Louvre), ed. by Laurence Bertrand Dorléac, with the collaboration of Thibault Boulvain and Dimitri Salmon, Paris: Lienart/Musée du Louvre éditions 2022.

Although left-right reversal is intrinsic to many image-making technologies, art history has paid limited attention so far to the wide range of its operational and theoretical implications. Focusing on the layered production of meaning characterizing early modern prints, this essay examines the variety of attitudes that existed toward lateral reversal in Western printmaking and how they have been assessed by art history. By engaging with intersecting perspectives from disciplinary discourses, it ultimately advocates for the historical and theoretical significance of those images that exist in either of their possible lateral orientations: images that unfold themselves as they migrate across media as well as through the imagination of artists and viewers alike.