Papers by Pietro Cappellari
"L'Ultima Crociata", a. LXXIV, n. 6, Settembre 2024

"L'Ultima Crociata", LXXIV, n. 1, Gennaio 2024, 2024
Da molti anni si sente sempre più spesso dire, anche tra studiosi liberi da certi condizionamenti... more Da molti anni si sente sempre più spesso dire, anche tra studiosi liberi da certi condizionamenti, che la Decima MAS della RSI "non era fascista". Una vera e propria litania che ci accompagna almeno dal 1995, da quando le "acque di Fiuggi" lavarono la coscienza a molti di coloro che, fino ad allora, si erano aggirati tra nugoli di camicie nere e labari missini. Fermo restando che l'adesione alla RSI fu un'adesione ad uno Stato fascista e che la Decima, dopo aver giurato fedeltà ad Hitler e al Reich, prestò regolare giuramento alla Repubblica Sociale Italiana, ricevendo da essa anche tutti i finanziamenti previsti per le Forze Armate Repubblicane, sembra assurdo pensare che, in quella che era divenuta una vera e propria "guerra di religione" tra Stati antifascisti e Stati fascisti, qualcuno si sia messo a fare una guerra personale, avulsa dai valori di fondo che muovevano gli eserciti e le Nazioni sul campo. Con questo non vogliamo assolutamente dire che la Decima MAS fosse un'unità di partito o che facesse politica nel senso proprio del termine, come non vogliamo nemmeno sottacere le diverse visioni ideali che portarono tanti ragazzi a scegliere di militare nella mitica unità del Comandante Borghese come in tante altre formazioni della Repubblica Sociale Italiana. Il problema -che non è solo della Decima, ma che riguarda tutti i reparti armati della RSI -è che si è fatta una profonda confusione tra "apartiticità" e "apoliticità". Ora, è ovvio che gli uomini di Borghese non avessero alcuna dipendenza dal Partito Fascista Repubblicano, come è altrettanto ovvio che rispondessero, all'atto della loro scelta, al richiamo di una Weltanschauung chiaramente fascista. La Decima MAS era un'unità apartitica non certo apolitica. E non poteva essere apolitica. La sua amplissima autonomia non fu una sua esclusiva specificità che ne fece un reparto "straordinario" della RSI, ma una situazione tipica di quel periodo "repubblicano", nel senso che «ognuno faceva quel che gli pareva», come ripeteva spesso l'Ing. Arturo Conti Presidente della Fondazione della RSI -Istituto Storico. Si pensi, ad esempio, al caso della Legione Autonoma Mobile "Ettore Muti", molto più autonoma degli uomini di Borghese… e molto più fascista. Dobbiamo inoltre segnalare che proprio la comparsa dei primi Marò della Decima MAS per le città d'Italia provocò scontri e polemiche. Infatti, non si contarono i borghesi malmenati dagli uomini della X a perché se ne stavano tranquillamente a bivaccare nei caffè invece di servire la Patria. Violenze che riguardarono anche i militari della RSI, come quelli appartenenti alla Polizia, colpevoli di non aver ancora sostituito le stellette con il gladio romano e per questo considerati badogliani. La questione dell'apoliticità della Decima, sulla quale abbiamo già ampiamente discusso nel nostro La Guardia della Rivoluzione (Herald Editore, Roma 2013, vol. I, pagg. 164-175), al quale rimandiamo il lettore interessato, venne stroncata già nel 1998 da Enzo Erra con parole incontestabili: "Aderire alla RSI significava compiere una scelta di campo. Scelta che aveva un alto contenuto politico nel senso più nobile del termine, perché dall'esito dello scontro dipendevano l'equilibrio e i rapporti di forza e di supremazia tra gli Stati […]. Nella RSI si poteva essere "apartitici" ma non "apolitici". Anche la Decima, nel senso superiore come si è detto, non lo era. E non lo era Borghese, che fece in piena coscienza la sua scelta di campo, e la mantenne dopo la guerra, con estrema, lucidissima coerenza nel MSI e fuori" (E. Erra, Non si rispetta la X Mas negando che fosse fascista, "Il Giornale", 29 Gennaio 1998). Chiarita nuovamente la questione, vorremmo spingerci oltre per comprendere l'atteggiamento politico che i giornali ufficiali della Decima MAS sposarono. Un atteggiamento chiarissimo, ispirato prima di tutto all'amor di Patria, alla necessità del combattimento per l'Onore d'Italia, ma anche da tematiche non propriamente militari, tra cui fece capolino anche l'antisemitismo. È necessario fare delle precisazioni, facendo nostro quanto a loro tempo hanno scritto De Felice, Mosse e Poliakov sul razzismo fascista, cui ci permettiamo di aggiungere gli studi di Alberto B.

P. Cappellari, Armando Casalini. "Apostolo della redenzione operaia". Vittima della rappresaglia antifascista al delitto Matteotti, Herald Editore, Roma 2024, 2024
La radicalizzazione delle posizioni politiche Le origini del fascismo vanno ricercate nel process... more La radicalizzazione delle posizioni politiche Le origini del fascismo vanno ricercate nel processo di revisione del marxismo iniziato nella seconda metà dell'Ottocento e, più precisamente, nelle teorie dei sindacalisti rivoluzionari e-soprattuttonell'"arricchimento" politico del socialismo rivoluzionario promosso dal giovane Benito Mussolini divenuto Direttore dell'"Avanti!" negli anni precedenti lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. A Milano, in quei mesi, si viveva un clima effervescente, non solo per l'attivismo politico di Mussolini, ma anche perché il capoluogo era meta di intellettuali e militanti di spessore che ne caratterizzavano il volto di una "città all'avanguardia". Presente anche il sindacalista rivoluzionario Filippo Corridoni, tutto intento ad organizzare l'Unione Sindacale Milanese, in polemica con il PSI, che fu tra i primi ad accorgersi dell'eccezionalità del personaggio Mussolini. Scriveva nel Gennaio 1913 ad Alceste De Ambris: Per Milano, carissimo, l'affare è imbrogliato. […] Mussolini poi è quasi venerato. Un uomo eccellente, sai? Eccellente sotto tutti i rapporti. Ha un'anima d'asceta e tutte le qualità esteriori del demagogo. Temibilissimo. Bada Alceste che non sono puerilità. Io so, sento che Mussolini sarà il mio avversario per quanto ci leghi una forte simpatia.

Armando Casalini "Apostolo della redenzione operaia". Vittima della rappresaglia antifascista al delitto Matteotti (1893-1924), 2024
Il centenario di un evento offuscato dalla vulgata antifascista per non scrivere una parola tabù:... more Il centenario di un evento offuscato dalla vulgata antifascista per non scrivere una parola tabù: "consenso popolare" Una vittoria della sopraffazione? Nelle tappe della Rivoluzione fascista una data è sempre rimasta in secondo piano, quella del 6 Aprile 1924, di cui quest'anno ricade il centenario. Quel giorno, infatti, si tennero in tutta Italia le elezioni per il rinnovo della Camera dei Deputati dopo due anni di Governo Mussolini, un Governo di unità nazionale dove i fascisti erano solo una trentina. Si rendeva necessario il rinnovo del Parlamento perché il popolo italiano si esprimesse su questi ultimi due anni di gestione fascista. Fu quindi un appuntamento molto importante, che si risolse in un trionfo per la Lista Nazionale approntata dal PNF, ben oltre ogni più rosea previsione. Mussolini ebbe così la consacrazione elettorale per proseguire sulla strada della rivoluzione nazionale e sociale di cui si faceva portatore, senza essere più legato mani e piedi ai compromessi parlamentari. Eppure, come abbiamo detto, questa data è rimasta sempre in secondo piano. I fascisti, infatti, non diedero mai importanza alle elezioni, ai ludi cartacei tipici dei sistemi che avevano fatto il loro tempo e dimostrato tutta la loro inadeguatezza ad affrontare i problemi del Paese: ben altra cosa era stata la Marcia su Roma e il discorso mussoliniano del 3 Gennaio 1925 con il quale si iniziò il processo di costruzione del Regime fascista come poi passato alla storia. Tra il 28 Ottobre 1922 e il 3 Gennaio 1925 non c'era stato il "6 Aprile", ma solo la marcia impetuosa della rivoluzione… Dall'altro lato, gli antifascistiprofondamente scioccati non per la loro scontata sconfitta, ma per l'inaspettato trionfo della Lista Nazionaleparlarono di questo evento mistificando i fatti, depotenziando il risultato, filtrando il tutto in un'ottica ideologica volta a falsare il risultato e il significato di quelle elezioni. Quelle poche volte che se ne parla, se ne parla, non a caso, attraverso le parole addolorate, indignate, di protesta e di denuncia pubblica, dell'On. Giacomo Matteotti, pronunciate nel famosissimo discorso alla Camera dei Deputati del 30 Maggio 1924dove, quindi, si poté liberamente esprimere-che molti, probabilmente a sproposito, considerato l'anticamera della sua "condanna a morte". In realtà, il discorso deve essere assolutamente contestualizzato, come ha fatto in maniera magistrale Enrico Tiozzo, ricordando il modus operandi di Matteotti, uso a lanciare virulente accuse e denunce senza riscontri oggettivi contro i suoi nemici politici. Un uomo politico con poca considerazione tra i vari partiti della sinistra, sia detto, santificato solo dopo la sua morte, perché il suo cadavere era utilizzabile nella battaglia contro il fascismo, di tutte le epoche ovviamente 1. Del resto, quello che era considerato il "capo dell'opposizione" in quel 1924 non era certamente lui, ma il liberale Giovanni Amendola. In quel discorso "storico" del 30 Maggio 1924, Matteotti considerò non valide le elezioni perché nessun Italiano si era potuto esprimere liberamente. Attaccò il Governo per il mantenimento della Milizia, un esercito di partito istituzionalizzato, ed entrò nello specifico, sostenendo che ad Iglesias (Cagliari) la casa del Notaio Corsi che stava raccogliendo le firme per la presentazione delle liste in quella circoscrizione era stata circondata dai fascisti. Un altro Notaio fu bastonato in Puglia, mentre a Melfi (Potenza), sempre con la violenza, venne impedita la raccolta firme: «A Genova i fogli con le firme già raccolte furono portati via dal tavolo su cui erano stati firmati. […] In sei circoscrizioni, abbiamo detto, le formalità notarili furono impedite colla violenza, e per arrivare in tempo si dovette supplire malamente e come si poté con nuove firme in altre provincie. A Reggio Calabria,

"L'Ultima Crociata", a. LXXIII, n. 6, Settembre 2023, 2023
Se sappiamo-o dovremmo sapere-che la Seconda Guerra Mondiale in Italia si concluse ufficialmente ... more Se sappiamo-o dovremmo sapere-che la Seconda Guerra Mondiale in Italia si concluse ufficialmente il 2 Maggio 1945 (e continuiamo a non capire gli stolti che, anche in posizioni "alternative", continuano a parlare di "25 Aprile"), non tutti sanno quando finirono le violenze partigiane antifasciste. Infatti, se generalmente si parla di "Primavera di Sangue del 1945", pochi riescono a dare un inizio e una fine alla sete di sangue comunista seguita al passaggio dei carri armati angloamericani, se non-ancora una volta-limitarsi a dire: "dopo il 25 Aprile". Non vogliamo tornare su un argomento che abbiamo già affrontato, ma se una data di "inizio della fine" va cercata, questa non può non essere che il 21 Aprile 1945, quando, con la caduta di Bologna, cessò la possibilità di resistenza dell'Esercito tedesco e si aprirono le porte della Pianura Padana agli Alleati. Da quel giorno iniziò la "caccia al fascista", con un crescendo che ebbe il suo apice tra il Maggio e il Giugno seguente, e si trascinò anche nei mesi successivi… fino al 1947! Sì, perché se dobbiamo trovare una data per indicare con cognizione di causa la fine delle violenze partigiane perpetrate dal regime ciellenista e collaborazionista contro inermi fascisti o presunti tali, questa non può non essere che il 18 Aprile 1948, quando, con la vittoria elettorale della Democrazia Cristiana-e la conseguente sconfitta dell'asse sovversivo PCI-PSI-, si aprì una nuova stagione: se non mancarono certamente violenze antifasciste; se rimase intatto il regime ciellenista e collaborazionista (atlantista), anche se a guida esclusiva DC; l'"epopea partigiana" andò finalmente in pensione (salvo essere ripescata dal PCI con nuove leve nel 1960, ma questa è un'altra storia). Tra il 21 Aprile 1945 e il 18 Aprile 1948, l'Italia centro-settentrionale fu presa da una morsa di violenza imposta dall'odio antifascista. Uccisioni, vendette, stupri, pestaggi, epurazione, furono il triste risultato della sconfitta dell'Italia nella Seconda Guerra Mondiale. E a compierle furono Italiani contro altri Italiani. Uno di questi episodi, avvenuto nell'Estate del 1946, vogliamo oggi raccontarvi, per far comprendere come si vivesse in quei mesi in cui finalmente i partigiani comunisti erano "al potere". E cosa sarebbe accaduto se veramente i ribelli bolscevichi avessero "vinto": l'Italia sarebbe stata trasformata in un enorme cimitero a cielo aperto sul modello iugoslavo e avremmo avuto per un cinquantennio un regime di terrore e miseria: nel 1990, sarebbero stati gli Italiani sui barconi a fuggire in Tunisia in cerca di pane e lavoro. Di questa tristissima storia siamo venuti a conoscenza grazie ad una lettera-appello che Padre Remo Balboni,

P. Cappellari e I. Linzalone, La rivolta ideale 1993-1995. Nascita e tramonto del Movimento Sociale Italiano. Le radici, l’identità e l’opposizione al sistema, Passaggio al Bosco, Firenze, 2022
In questo scenario di "costruzione" della Destra Nazionale, dobbiamo soffermarci su una dichiaraz... more In questo scenario di "costruzione" della Destra Nazionale, dobbiamo soffermarci su una dichiarazione di Giorgio Almirante che, tanti anni dopo, venne ripresa dai fondatori di Alleanza Nazionale per giustificare una delle più incredibili tesi fondative di AN: il riconoscimento-e la condivisione-dei valori dell'antifascismo. Una tesi che cozzava con la storia del MSI, ma che si tentò di far passare in sordina giustificando il tutto con il fatto che anche Almirante, negli anni '70, aveva condiviso tale impostazione. Cosa ripresa da molti che narrano della storia del Movimento Sociale Italiano, manipolandola in senso destrorso. Senza andare a citare le centinaia e centinaia di articoli e testimonianze verbali di fede nel fascismo che Almirante fece prima e, soprattutto, dopo tale "fatal dichiarazione", cercheremo di fare chiarezza su un tema così sfruttato dai destronazionali diventati poi alleanzini o alleatinazionali che dir si voglia, ricordando che il Segretario del MSI fu sempre quello che su "Il Secolo d'Italia", il 28 Aprile 1956, scrisse qualcosa che farebbe accapponare la pelle a qualsiasi politico di destra: Lo hanno ammazzato ma non sono riusciti ad ucciderlo. Mussolini è odiato dagli antifascisti; ma sono proprio loro che gli rendono involontario omaggio, anche nell'odio. Lo perseguitano come un vivente. Gli negano la parola, quasi fosse ancora un tribuno. Ne cancellano l'effige, quasi potesse ancora trascinare le folle. Ne scalpellano le insegne, quasi potesse levarle ancora in alto vittorioso. Odio impotente e inerte: perché la piccola povera gente gli vuol bene. Gli vuol bene il contadino comunista dell'Italia meridionale, gli vuol bene il repubblicano romagnolo, gli vuol bene lo schietto socialista toscano. Se ci fosse lui... Non è nostalgia, non è retorica, non è fanciullaggine: è l'anelito umano verso talune costanti della morale e della storia, che Egli impersonò, che Egli impersona tuttora. Questa è, a nostro avviso, la spiegazione del fenomeno: la sua vera, profonda ragione umana. Ci sono nella vita valori contingenti che spesso hanno il sopravvento, ma rapidamente decadono. Ci sono valori costanti, che fanno l'uomo, fanno il popolo, fanno la Nazione, fanno lo Stato, fanno la civiltà. Li fanno al di là e al di sopra delle vittorie e delle sconfitte. Ecco perché Mussolini oggi è vivo. Egli rappresenta una delle costanti umane del nostro popolo. Noi siamo rinati per dire e dimostrare agli italiani che Mussolini è grande, cioè che Mussolini è vivo, cioè che Mussolini è attuale, e li può aiutare ancora, li può sollevare ancora, lo può riunire ancora. Ma oggi Mussolini è al di sopra e al di fuori della tattica; e tuttavia, per chi lo ha amato e compreso, non è al di sopra né al di fuori delle vicende del nostro Paese. È qui, vivo con noi: vivo nelle grandi costanti della sua politica e della sua umanità, nelle grandi linee direttrici della sua battaglia. Fu tante cose, certo; ma fu sempre Nazione, fu sempre mediazione tra individualismo e collettivismo, tra capitalismo individuale e capitalismo di Stato, tra liberalismo e marxismo; cioè fu sempre Fascismo.

“L’Ultima Crociata”, a. LXXIII, n. 2, Febbraio 2023, 2023
In questi ultimi anni abbiamo visto come la "cancellazione della cultura" sia il mezzo attraverso... more In questi ultimi anni abbiamo visto come la "cancellazione della cultura" sia il mezzo attraverso il quale la sinistra tenti di annichilire la nostra civiltà per adempiere al suo atavico-quanto illusorio e criminale-progetto di "rigenerazione della società" (cfr. E. Mastrangelo e E. Petrucci, Iconoclastia, Eclettica, 2020). Del resto, Mao-che oltre ad essere un grande assassino era anche un grande poeta-lo aveva detto: le poesie più belle si scrivono sulle pagine bianche. Poco importa se per far bianche quelle pagine sono state eliminate milioni di persone o cancellate intere civiltà. L'abbattimento delle statue dei "grandi" del nostro passato, rientra in questa follia nichilista. E se vanno giù statue di ignoti scrittori o scienziati, come di Generali od esploratori, alcune resistono, non sappiamo ancora per quanto, all'idiozia fattasi azione vile, in quanto coperta dall'impunità. È il caso delle statue di Gabriele d'Annunzio che ancora sopravvivono alla furia iconoclasta antifascista e, anzi, seppur "depotenziate", rivivono una seconda stagione. Certamente, se le statue del Poeta-eroe resistono, la sua figura in questi anni è stata incredibilmente al centro di una manipolazione che lascia sconcertati. Abbiamo già affrontato questa tematica in due nostri lavori cui rimandiamo il lettore curioso (cfr. P. Cappellari, Fiume trincea d'Italia, Herald Editore, Roma 2018; e P. Cappellari, D'Annunzio in libertà, Passaggio al Bosco, Firenze 2021) e non ci interessa tornare su un argomento che, ormai, è ben saturo di risposte e precisazioni per chi voglia sentire, comprendere, constatare. Tuttavia, dobbiamo sottolineare che questi tentativi di defascistizzare della figura del Poeta-eroe partono da lontano, dalla gestione Momigliano del "Vittoriale"-della quale abbiamo fatto cenno anche nei nostri studi-, quando cominciarono a circolare voci tendenti a presentare, se non un d'Annunzio antifascista, certamente antinazi-sta e, quindi, contrario all'Asse, al Patto d'Acciaio… e, chiudendo il cerchio, alla politica del Regime fascista, a Mussolini… e il gioco è fatto! Questo, ovviamente, senza presentare un solo documento. Anzi, sovvertendo tutto quello che i documenti provavano-e prova-no tutt'ora-con dovizia di particolari. La liquidazione del "Vittoriale" Eucardio Aronne Momigliano fu il grande "apripista" del d'Annunzio defascistizzato. Di origini ebraiche, massone, fascista sansepolcrista, lasciò il PNF nel 1924-durante la crisi Matteotti, si presume, quando parve che il Governo Mussolini avesse le ore contate-, passando con il Partito Democratico Sociale all'opposizione, almeno fino alle "leggi fascistissime" del 1925-1926, quando, con lo scioglimento di tutti i partiti e della massoneria, abbandonò ogni attività politica, dedicandosi esclusivamente alla sua professione di Avvocato e agli studi storici. La sua passata attività politica nel Partito Democratico Sociale (liberali di sinistra), gli comportò un arresto conclusosi poi con una semplice diffida nel 1927, a causa di denunce che nascondevano vendette private nate nell'ambito della sua professione. Fu accusato di aver collaborato al tentato espatrio clandestino degli antifascisti Giovanni Ansaldo, Carlo Silvestri e Riccardo Bauer, fornendo loro l'automobile di sua proprietà. Questa diffida, ovviamente, non gli impedì di continuare a scrivere e dare alla luce alcune importanti biografie sui grandi del passato, come Anna Bolena (pubblicato nel 1931-IX per la Mondadori e riedito nel 1933-XI per la Corbaccio); Federico II di Svevia (3 a ed., Corbaccio, 1937-XV); Federico Barbarossa (Corbaccio, 1937-XV). Ma non solo. Collaborò con alcune riviste del Regime come "Le Opere" e "Giorni" di Genova; "Varietas" di Milano; nonché venne chiamato alle stazioni radiofoniche di Torino, Milano e Genova per tenere conferenze stori-che e patriottiche. Fu anche collaboratore di Giovanni Gentile all'Enciclopedia Treccani. Dal 1926 Momigliano non diede rilievi di sorta e, ancora nel 1939, in piena legislazione razziale, gli fu rinnovato per l'ennesima volta il passaporto per l'estero: lo stesso Prefetto di Milano diede il nulla

“L’Ultima Crociata”, a. LXXIII, n. 4, Maggio-Giugno 2023, 2023
Un crimine partigiano rimasto impunito Molti conoscono l'eccidio di Schio (Vicenza) avvenuto nell... more Un crimine partigiano rimasto impunito Molti conoscono l'eccidio di Schio (Vicenza) avvenuto nella notte tra il 6 e il 7 Luglio 1945, quando una banda di partigiani penetrò nel locale carcere e sfogò il suo odio massacrando barbaramente cinquantaquattro fascisti, "colpevoli" di aver aderito alla Repubblica Sociale Italiana. Se, oggi, è possibile parlare di questo crimine contro l'umanità compiuto dagli antifascisti è solo grazie a tutti coloro che, nel corso degli anni, non si sono fatti intimidire ed hanno cercato sempre di ricordare i caduti per mano partigiana. Divieti, provocazioni, aggressioni, minacce, non li hanno mai fermati. Purtroppo, in molti altri luoghi non è stato così e di tante stragi commesse dai partigiani dopo la fine della guerra, contro innocenti inermi, "colpevoli" solo di essere fascisti o presunti tali, si è persa la memoria storia. Oggi, narreremo della strage del carcere di Cesena, avvenuta nella notte dell'8 Maggio 1945, che anticipa per modalità ed azioni quella tragica di Schio. Quella notte vennero assassinati dagli antifascisti diciassette detenuti politici cui nulla poteva essere addebitato, se non il professare una idea assurta a simbolo del "male assoluto". La guerra a Cesena era finita il 20 Ottobre 1944, quando la città era stata occupata dagli Alleati che avanzavano lungo la dorsale adriatica. Da allora, l'autorità politico-militare della zona era stata assunta dai Britannici, mentre gli antifascisti si preparava-no all'"assalto del potere" e gli ormai onnipresenti partigiani imponevano con la violenza il nuovo ordine "libertario". Molti fascisti cesenati avevano seguito la ritirata al Nord delle truppe italo-tedesche e quelli rimasti in zona vivano il triste periodo della vendetta ingiustificata, dell'odio politico eretto a sistema, della violenza contro gli inermi e gli innocenti. La fine della guerra (2 Maggio 1945) fece affilare agli antifascisti i "coltelli della rivincita" contro tutti coloro che avevano seguito le truppe della RSI al Nord ed ora, alla spicciolata, tornavano a casa, convinti che nessuno, comunque, avrebbe potuto imputargli nulla. Ma non era così. Per il solo fatto di esistere avrebbero dovuto pagare. E avrebbero pagato amaramente quella loro fede, simbolo della cattiva coscienza di tanti cesenati che per un ventennio avevano esaltato il Regime e, nel momento della sconfitta, si erano affrettati a riporre la camicia nera e salire sul "carro del vincitore", cercando nell'odio contro i camerati dei "bei tempi" di rifarsi una verginità politica. L'odio coltivato in mesi e mesi di guerra civile esigeva ora il suo "olocausto".

"L'Ultima Crociata", a. LXXIII, n. 1, Gennaio 2023, 2023
LE VIOLENZE ANGLOAMERICANE A NETTUNIA Documenti inediti testimoniano un periodo rimosso della nos... more LE VIOLENZE ANGLOAMERICANE A NETTUNIA Documenti inediti testimoniano un periodo rimosso della nostra memoria collettiva L'occupazione angloamericana della città di Nettunia, iniziata con il famoso sbarco il 22 Gennaio 1944 e protrattasi per lunghi mesi, è sempre stata presentata secondo i canoni del politicamente corretto, sorvolando sugli aspetti scabrosi che tutte le occupazioni militari in tempo di guerra inevitabilmente hanno. Quasi d'obbligo è l'utilizzo del termine politico di "liberazione", vietati quelli storici e militari di "occupazione" ed "invasione" che, invece, gli Alleati usavano sovente (cfr. l'AMGOT, l'Allied Military Government of Occupied Territories). Questa narrazione politicizzata dei fatti, sulla quale abbiamo già ampiamente discusso (cfr. P. Cappellari, Lo sbarco di Nettunia e la battaglia per Roma, Herald Editore, Roma 2010), si basa oltretutto su fonti esclusivamente orali, confondendo la Storia con "le storie". Tutto molto bello e molto "romantico" forse, ma alquanto problematico per una narrazione scientifica degli eventi. Sì, scientifica. Perché la storia non è il "ricordo dei nostri nonni" ma, prima di tutto, è una scienza. Tutto ciò ha avuto una ricaduta sulla "narrazione istituzionale" che ad ogni anniversario si è costretti a sentire. Forzature, interpretazioni di comodo, sudditanza politica e morale, la fanno da padrone. La Storia, i rapporti tra le Nazioni, la geopolitica, gli stessi eserciti e la realtà dei fatti passano in secondo piano, sostituiti da una narrazione bonaria, semplicistica, vittimistica. Per la prima volta, il passato non è indagato con l'utilizzo dei documenti e l'analisi dei fatti, ma secondo i ricordi rielaborati e politicizzati quaranta, cinquanta e più anni dopo gli eventi, di chi c'era, di chi ha visto, anche se non sapeva né leggere né scrivere e non sapeva distinguere un soldato germanico da uno statunitense... Si è iniziato così a mitizzare eventi mai avvenuti o ricostruiti fantasiosamente (cfr. P. Cappellari, Nettunia, 9-11 Settembre 1943, 2020) per arrivare a proclamare "eroi" semplici facchini tuttofare stipendiati dagli eserciti angloamericani, costretti dalla fame a quella scelta, dimenticando tutti coloro che, invece, sui campi di battaglia della Seconda Guerra Mondiale, avevano combattuto quello che era il nemico della Nazione italiana (e lo sarà fino al 1947, quando venne firmato il Trattato di Pace!). Non stupirà quindi il fatto che per anni, a livello pubblico, mai si è accennato alle violenze dell'esercito di occupazione angloamericano, mentre si sono amplificate quelle della Wermacht (Settembre 1943-Gennaio 1944). Come sempre si è dimenticato quello che lasciò l'occupazione degli eserciti statunitensi e britannici in termini di distruzioni, saccheggi, povertà, immoralità. La finalità politica di questa metodologia è nota e non vogliamo tornarci su. Essendo dei ricercatori e come tali più propensi a sondare territori inesplorati, abbiamo scelto di fare una riflessione sugli eventi più clamorosi dell'occupazione angloamericana della città di Nettunia, proponendo al lettore fatti documentati, da sempre tenuti nascosti e cancellati dalla stessa memoria collettiva delle comunità locali. Una delle prime fonti che raccoglie questi eventi, tra i documenti che abbiamo potuto consultare, è la tesi di laurea di Fiorenza Castaldi, La partecipazione americana allo sbarco e alla battaglia di Anzio nella diaristica e nella pubblicistica (Corso di laurea in Letteratura e Lingue straniere, Università degli Studi "La Sapienza", anno accademico 1987-1988). Esordisce la Castaldi: "Anche se esistevano dei buoni rapporti tra gli Americani ed i civili, Adleman e Walton dichiarano nel loro volume che i primi non sempre comprendevano la situazione che stavano vivendo gli Italiani: essi vedevano le donne prostituirsi con la complicità dei familiari ed i ragazzini rubare, di conseguenza, soprattutto i soldati giovani, si erano fatti un'idea negativa del nostro popolo e, nonostante spartissero le loro razioni con i giovani ed i vecchi, consideravano l'Italiano un essere inferiore" (pagg. 75-76). Fin qui nulla di nuovo per chi conosce la storia. Senza scomodare il fondamentale romanzo di Curzio Malaparte La pelle o l'incredibile, quanto dimenticata, testimonianza di Norman Lewis in Napoli '44

"L'Ultima Crociata", a. LXXII, n. 4, Giugno-Agosto 2022, 2022
LE GRANDI INCHIESTE DE "L'ULTIMA CROCIATA" L'OMICIDIO DELL'APPUNTATO DI CARLO: UN CRIMINE RIMASTO... more LE GRANDI INCHIESTE DE "L'ULTIMA CROCIATA" L'OMICIDIO DELL'APPUNTATO DI CARLO: UN CRIMINE RIMASTO IMPUNITO Dopo tanti anni, tra Viterbo e Terni riemerge una storia sconosciuta Lo studio dei caduti della RSI è certamente una ricerca senza fine. A tanti anni dalla conclusione della Seconda Guerra Mondiale ancora non si ha un quadro definitivo della problematica, dovuto essenzialmente al disinteresse dello Stato italiano ad affrontare un argomento così "sensibile". Per questo motivo, le ricerche-affidate a volontari-sembrano non finire mai. Ancora nel 2021 si fanno scoperte per certi aspetti sensazionali. È il caso del documento ritrovato presso l'Archivio di Stato di Viterbo dal giornalista Silvano Olmi, durante uno studio sulla RSI nel Viterbese. Il documento in questione è una relazione del Dott. Umberto Schiavotti, Procuratore della Repubblica di Viterbo, datata 26 Settembre 1949. Racconta una storia per molti aspetti agghiacciante, ma che ben delinea la realtà di quegli anni: la scomparsa dell'Appuntato dei Carabinieri Sabatino Di Carlo. Questo Carabiniere, originario di Castel S. Angelo (Rieti), classe 1906, in servizio presso il Distaccamento della Guardia Nazionale Repubblicana di Giove (651° Comando Provinciale della GNR di Terni), aveva abbandonato il paese tra l'11 e il 12 Giugno 1944, all'atto della ritirata generale delle truppe della Repubblica Sociale Italiana, prima dell'occupazione britannica. Si era allontanato verso Roma, per sfuggire alle probabili violenze antifasciste e alla cattura da parte degli Alleati. I mesi passavano e nessuna notizia giungeva alla famiglia sulla sua sorte. Di lui si erano perse notizie e i più-chissà perché-lo consideravano ucciso da soldati germanici sbandati in ritirata. Dove, come e quando nessuno, però, sapeva dire. Fino ad un drammatico giorno di Ottobre del 1944: Il giorno 9.10.1944 furono rinvenute, in un bosco denominato "Piano della mora" (tenuta Palazzolo) dell'agro di Bassanello [l'attuale Vasanello, in provincia di Viterbo], alcuni resti di ossa umane, oltre a pezzi di indumenti e scarpe da uomo ed altri oggetti più o meno rovinati dalle intemperie e dagli animali carnivori esistenti nel bosco. Più in là, fu rinvenuto un portafogli contenente carte varie e fotografie, nonché documenti e tessera di riconoscimento intestati all'Appuntato dei Carabinieri Di Carlo Sabatino, già dipendente della Stazione di Giove. Dalle prime indagini-e principalmente dalle dichiarazioni della vedova Laurenzi Angelina-risultò che il Di Carlo, in data 11 o 12 Giugno 1944, cioè dopo la partenza delle truppe tedesche, e prima dell'arrivo di quelle alleate, fuggì da Giove diretto verso Roma, dove aveva alcuni parenti, perché intendeva sfuggire alle ricerche di taluni facinorosi del paese i quali intendevano catturarlo per poi od ucciderlo o consegnarlo alle truppe alleate, unicamente perché, quale Carabiniere, non si era dato alla macchia, ma aveva seguitato a prestare servizio durante il periodo della dominazione nazi-fascista.

GIOVANNI AMENDOLA MORI' DI CANCRO Ucciso dai fascisti… o da una malattia… per la propaganda è la ... more GIOVANNI AMENDOLA MORI' DI CANCRO Ucciso dai fascisti… o da una malattia… per la propaganda è la stessa cosa Le vittime del fascismo in Italia godono di "chiara fama". Una fama che va ben al di là del legittimo ricordo, in quanto il loro sacrificio serve troppo spesso per innestare una polemica politica e perpetuare l'odio antifascista nel tempo… "nei secoli dei secoli". Amen. Infatti, nella stragrande maggioranza dei casi, i "gendarmi della memoria" ignorano la vittima, al massimo ne conoscono il nome, come ignorano i fatti che condussero alla sua morte. A loro serve solo il "nome". Un nome al quale far seguire, sempre e comunque, la dizione pedagogica: "Assassinato dai fascisti". È questa la cosa più importante. Altro non serve. Una semplice speculazione politica. Sia chiaro, tutti i caduti e tutte le vittime per noi sono degne del ricordo, ma non si può tollerare la strumentalizzazione partigiana di fatti avvenuti in tutt'altro modo. Una violenza, prima di tutto, contro la decenza. È noto il caso di Antonio Gramsci, considerato da tutti "lasciato morire in carcere" (dai fascisti), quando il noto politico-che probabilmente aveva anche abbandonato il comunismo-decedette per malattia, da uomo libero, in una prestigiosa clinica di Roma pagata dal Regime (cfr. P. Cappellari,

“L’Ultima Crociata”, a. LXIX, n. 9, Dicembre 2019, 2019
IL DELITTO MATTEOTTI: FINE DI UNA LEGGENDA Lo studio di Tiozzo mette finalmente a tacere la vulga... more IL DELITTO MATTEOTTI: FINE DI UNA LEGGENDA Lo studio di Tiozzo mette finalmente a tacere la vulgata antifascista. Per sempre Se, ancor oggi, sentiamo parlare di Giacomo Matteotti è solo perché la sua morte è sempre stata sfruttata politicamente come arma per accusare il fascismo di ogni nefandezza compiuta dall'uomo nel corso dei millenni. Se non fosse così, il nome del povero Segretario del Partito Socialista Unitario, ucciso da una squadra di picchiatori fascisti, si sarebbe perso nelle nebbie della storia, dimenticato tra i nomi di migliaia e migliaia di caduti/vittime della violenza politica. Basta, del resto, recarsi nei pressi del monumento al "martire socialista" eretto sul lungotevere per vedere lo stato di abbandono e sudiciume in cui versa, dimenticato da tutti coloro che ne hanno sempre difeso la memoria, elevandosi, con la loro "superiorità morale" e supponenza, a giudici del "male assoluto" fascista. Che quanto sostenuto dalla vulgata in decenni di manipolazioni fosse alterato da una visione ideologica della storia, lo si è sempre saputo. Oggi, con lo studio di Enrico Tiozzo, finalmente questa maschera è caduta, rovinosamente, per sempre. Tiozzo, con uno studio in due volumi, ha finalmente tolto l'aureola al "martire socialista, mostrando il suo volto per quello che era in realtà. In particolare, con il secondo tomo, incentrato sul delitto di cui fu vittima, ha smontato pezzo per pezzo tutta la grossolana ricostruzione dei "professoroni" (con stipendio statale) che volevano Matteotti ucciso dietro ordine di Mussolini, per coprire, magari, strani affari petroliferi in cui erano invischiati esponenti del suo Governo, magari lo stesso fratello Arnaldo o addirittura il Re Vittorio Emanuele III. Nulla di tutto ciò è stato mai possibile appurare, anzi, con una semplice analisi logica dei documenti, Tiozzo evidenzia la strumentalità di tali ipotesi fantasiose. Matteotti fu semplicemente, quanto drammaticamente, vittima di una spedizione punitiva fascista, condotta da una squadra di maldestri picchiatori il cui compito era quello solo di purgare con l'olio di ricino il povero Deputato o al massimo seviziarlo, non certo di ucciderlo dietro un allucinante quanto folle mandato governativo. Questi sprovveduti picchiatori, però, eccederono nell'irruenza e, probabilmente, a causa della gracile costituzione fisica di Matteotti, ne causarono la morte con dei pungi al torace (che, nelle loro intenzioni, dovevano solo servire ad immobilizzare il Deputato e non certo provocarne il decesso). Tiozzo evidenzia come molti lati oscuri della vicenda non furono affrontati dai Giudici che si occuparono delle prime indagini. E questo non certamente per istruzioni del Governo, visto che i Giudici in questione erano partigiani socialisti e disattesero fin da subito la loro imparzialità cercando di addossare a Mussolini colpe che, in quella circostanza, non poteva assolutamente avere. Ma con le ossa rotte ne esce anche il processo politico del 1947, quando l'"affare Matteotti" venne ripescato dall'antifascismo militante per condannare il "male assoluto" fascista. Con le evidenti storture di una farsa. Oggi non è possibile individuare il mandante della spedizione punitiva, forse il Quadrumviro della Direzione del PNF Giovanni Marinelli (ma non certo Mussolini); non si sa dove fosse diretto Matteotti quel giorno; non è possibile stabilire le cause certe della morte (probabilmente dei pugni al torace e non una misteriosa pugnalata). Tanti ed altri misteri che Tiozzo evidenzia nel corso del suo studio, ma nessuno di questi misteri giustifica le fantasiose ipotesi che in questi decenni sono state avanzate sul caso da militanti politici abbagliati in questa ricerca dal loro viscerale odio antifascista. Uno studio che, ovviamente, non è scritto come un romanzo-genere al quale ci hanno abituato coloro che sono occupati del caso-e rimane "ruvido" ad un lettore poco esperto. Ma rimane pur sempre uno studio straordinario, in grado di far finalmente luce su un "affare" su in troppi hanno speculato. Una luce che abbaglia quei "professoroni" (con stipendio statale) ancora una volta smascherati da semplici virtù: l'onestà e l'amore per la ricerca.
“L’Ultima Crociata”, a. LXXII, n. 2, Febbraio-Marzo 2022, 2022

“L’Ultima Crociata”, a. LXXI, n. 5, Luglio-Settembre 2021, 2021
, è certamente da annoverare tra i crimini più efferati commessi dalle truppe germaniche in Itali... more , è certamente da annoverare tra i crimini più efferati commessi dalle truppe germaniche in Italia tra il 1943 e il 1945. Di questo drammatico episodio si è tornato a parlare in questi ultimi tempi in molti Consigli comunali, perché legato ad una proposta che, partendo da valori condivisibili, vorrebbe imporre limiti alla libertà di pensiero ed espressione altrui, violando, tra l'altro, l'articolo 21 della Costituzione, quella che si vorrebbe difendere contro gli "assalti" del nuovo fascismo (?). É il progetto della cosiddetta "anagrafe antifascista", quella della "gendarmeria del pensiero unico" che vuole-speculando sul sangue di tanti innocenti-chiudere la bocca a chi la pensa diversamente, elevandosi nella crociata contro… la vendita degli accendini, dei calendari e dei portachiavi "fascisti"… Che la strage di Sant'Anna non c'entri nulla con siffatte crociate liberticide e neopartigiane è ovvio. Ma ben poche voci si sono levate contro un modo di procedere che nasconde malamente il vizio genetico proprio della sinistra italiana: la vocazione al totalitarismo, alla supponenza e all'annientamento dell'avversario e della realtà storica. In tutta Italia, un solo Consigliere comunale ha avuto il coraggio di fare obiezioni contro tale "bando antifascista", la Prof.ssa Maria Teresa Merli che, ad Imola, ha zittito la maggioranza, ponendola in ridicolo davanti l'intera cittadinanza e-dopo la scomposta reazione del Sindaco e delle associazioni neopartigiane-davanti all'intera Nazione. La combattiva e coraggiosa Merli, per nulla impaurita dallo sbarramento di odio antifascista montato ad arte dai "gendarmi della memoria", è entrata nel merito della strage di Sant'Anna, di cui tutti parlavano contorcendosi nel dolore per siffatto crimine, ma di cui nessuno sapeva in realtà nulla. È bastato qualche richiamo all'inchiesta di Giorgio Pisanò per scatenare un terremoto che, lungi da sfiorare il Consigliere comunale, ha finito per seppellire tanti "gendarmi della memoria". Ma cosa sappiamo di questo crimine contro l'umanità? Secondo la vulgata-che ha all'attivo 70 anni di studi, centinaia di milioni investiti nella "ricerca" e nella propaganda e svariati processi ai protagonisti veri e presunti della strage-il 12 Agosto 1944, un Battaglione della 16 a Divisione SS "Reichsführer", in azione di rastrellamento a Sant'Anna di Stazzema, provocò il massacro-deliberato e senza motivo-di 560 civili, in gran parte donne, vecchi e bambini, i cui corpi vennero distrutti con i lanciafiamme, aggiungendo orrore ad orrore e "gemellando", di slancio, Stazzema con Auschwitz… Ed è questo quello che, ancor oggi, viene detto alle centinaia e centinaia di visitatori-in gran parte scolaresche-che raggiungono il paese.

Lo sbarco di Nettunia e la battaglia in difesa di Roma, 2010
Un muro d'acciaio chiamato "Hermann Göring" L'operazione su Cisterna di Littoria si fondava essen... more Un muro d'acciaio chiamato "Hermann Göring" L'operazione su Cisterna di Littoria si fondava essenzialmente sulla fiducia che i Comandanti alleati nutrivano nelle migliori truppe di cui disponevano nel settore europeo: i Rangers del Col. William Orlando Darby. Istruiti secondo le tecniche dei Commandos britannici, la loro costituzione era stata fortemente voluta dal Gen. Truscott. Il loro nome richiamava un periodo "aureo" della storia degli USA. Richiamava le storie della "frontiera selvaggia", del Far West: la guerra contro i Pellerossa e la loro definitiva sottomissione-scomparsa era stata possibile anche grazie all'impiego di incursori che penetravano tra le loro fila, i cosiddetti Rangers. Quando, nel 1942, l'US Army volle costituire un'unità speciale di incursori il nome scelto fu proprio quello di Rangers. Le selezioni furono dure. Si trattava di volontari di sola razza caucasica, scelti personalmente uno a uno dopo un colloquio con il Comandante Darby. I Rangers erano un'unità di Fanteria leggera appositamente studiata per gli sbarchi anfibi, quando si riteneva necessario contare su personale specializzato nelle incursioni oltre le linee nemiche: con puntate rapide e decise i Rangers avevano il compito di disarticolare il sistema difensivo avversario e preparare il terreno per l'attacco in massa delle Divisioni di Fanteria. A Cisterna di Littoria, proprio questo fu chiesto di fare agli uomini del Col. Darby. Il progetto di sfondamento del fronte, infatti, prevedeva un'incursione dietro le linee nemiche da parte dei Rangers. Una volta superata la prima linea avrebbero dovuto scardinare i capisaldi germanici e permettere l'attacco frontale della 3 a Divisione Fanteria USA. Il Gen. Truscott era sicuro che le sue "creature" non avrebbero fallito: quella su Cisterna di Littoria era un'operazione sulla quale si faceva estremo affidamento. Per l'occasione spostò il suo Comando a Borgo Montello, sulla linea di partenza dell'attacco. Avrebbe seguito in diretta la conquista dell'importante centro abitato. Chi poté osservare i Rangers prima dell'azione, mentre con aria spavalda si preparavano cantando la canzone Pistol Packin' Mamma, mentre oliavano i loro Thompson-l'arma preferita dai gangster di Chicago-non ebbe dubbi: quegli uomini non avrebbero fallito. Erano stati tutti concentrati "a riposo" nella pineta di Nettunia e, dai tempi del loro imbarco a Pozzuoli, non si erano rasati, tanto che-come disse disgustato un Paracadutista statunitensesembravano "dei tagliagole o degli ubriaconi". Il giorno prima dell'attacco, i barbieri ebbero il loro bel da fare per "sistemare" quelli che sarebbero passati alla storia come i "liberatori" di Cisterna. A difesa di questa cittadina era posta una delle migliori Divisioni germaniche, la Fallschirmpanzer Division "Hermann Göring" del Gen. Paul Conrath. Questa unità di Paracadutisti Corazzati dell'Aeronautica germanica traeva origine dalle squadre di polizia speciale create dal Ministro degli Interni della Prussia Hermann Göring, all'indomani della travolgente vittoria elettorale del Partito Nazionalsocialista del 1933. Il loro compito era stroncare ogni attività comunista nel Paese. Nel corso degli anni, questa unità subì un notevole sviluppo, seguendo di pari passo l'ascesa politica del suo fondatore. Göring, divenuto Ministro dell'Aeronautica, istituì la Luftwaffe e trasformò la sua unità in Regiment "General Göring" che, nell'ottobre 1940-dopo aver partecipato a tutte le operazioni militari nell'Europa dell'est e in Francia-divenne una delle più prestigiose Divisioni del Reich. Dopo essere stata duramente impegnata in Tunisia e nell'Italia meridionale, questa unità venne posta in riposo nella zona di Frosinone. Fu qui che si trovava quando avvenne lo sbarco del 22 gennaio 1944. Si trattava di giovani volontari, selezionati dalla Hitlerjugend, motivati e coscienti della loro missione per la grandezza della Patria germanica. La loro fede trascendeva l'ideale politico, tramutandosi in una mistica religiosa.

Da Vittorio Veneto alla Marcia su Roma. Il Centenario della Rivoluzione fascista, 2021
In un'Italia sprofondata nelle violenze pre-rivoluzionarie anarco-massimaliste, in attesa dello s... more In un'Italia sprofondata nelle violenze pre-rivoluzionarie anarco-massimaliste, in attesa dello scoppio della rivoluzione bolscevica mondiale e della venuta dell'Armata Rossa -che "stazionava" in Polonia -, iniziava uno dei più clamorosi eventi del Biennio Rosso: l'occupazione delle fabbriche. Un evento senza precedenti che coinvolse 185 stabilimenti e 600.000 operai, da Genova a Venezia, da Milano a Napoli. In quel Settembre 1920, all'occupazione delle terre che si registravano ormai da alcuni mesi, si era aggiunta l'occupazione delle fabbriche da parte degli operai: cosa che aveva colpito profondamente la borghesia italiana. E non solo per l'impressionante compattezza operaia, ma per quello che tale movimento poteva scatenare, ossia la rivoluzione bolscevica che -come ben annotava Gramscisarebbe stata prima di tutto una guerra di annientamento della borghesia, già espressione dei vituperati quadri del Regio Esercito in guerra; una borghesia vile, inutile e parassitaria che sarebbe stata espulsa dal campo sociale "col ferro e col fuoco" 1 .

Mi imbattei per la prima volta sulla vexata quaestio della distruzione delle cosiddette "Navi di ... more Mi imbattei per la prima volta sulla vexata quaestio della distruzione delle cosiddette "Navi di Nemi" nel lontano 2010, durante la chiusura del mio studio Lo sbarco di Nettunia e la battaglia di Roma. Seguendo la ritirata germanica sui Colli Albani sotto l'incalzare dei carri armati angloamericani e le ultime battaglie, dovetti per forza di cose accennare alla distruzione di quel patrimonio culturale ed artistico, a carattere sacrale, conservato, per l'appunto, nel Museo delle Navi romane di Nemi, sito sull'omonimo lago di origine vulcanica, a poco più di venti chilometri da Cinecittà, all'epoca periferia di Roma. Il Museo fu costruito durante il Regime fascista dall'architetto Vittorio Ballio Morpurgo, a seguito del recupero di due gigantesche navi appartenute all'Imperatore Caligola (37-41 d.C.). Si trattava di scafi imponenti con dimensioni di metri 71,30 x 20 l'una e di 73 x 24 l'altra. Una scoperta archeologica eccezionale, uno straordinario intervento di salvataggio, che si inseriva perfettamente nel recupero della missione e del primato della civiltà di Roma promossa dall'Italia di Mussolini. Il museo, non a caso, venne inaugurato il 21 Aprile 1940-XVIII, Natale di Roma e Festa Nazionale del Lavoro. Il complesso andò incredibilmente distrutto da un incendio scoppiato al suo interno nella notte tra il 31 Maggio e il 1° Giugno 1944, durante il passaggio del fronte.

Da Vittorio Veneto alla Marcia su Roma. Il Centenario della Rivoluzione fascista, 2021
Il Biennio Rosso 1919-1920 fu caratterizzato da un'esplosione di violenza antireligiosa senza pre... more Il Biennio Rosso 1919-1920 fu caratterizzato da un'esplosione di violenza antireligiosa senza precedenti nella storia d'Italia, sulla quale ci siamo già soffermati nel nostro studio sugli Stupri di Ottobiano (Pavia) del 13 Maggio 1920, ai quali rimandiamo per un inquadramento generale. Ovviamente, i fatti registratisi ad Ottobiano non furono l'apice di una violenza divenuta endemica, ma la progressione di questa violenza verso forme più abiette e "totalitarie", in attesa del prossimo scatenamento della rivoluzione bolscevica e della proclamazione della dittatura del proletariato che avrebbe cancellato per sempre le "superstizioni" religiose, insieme al "potere dei Preti". Anche partecipare alle funzioni era diventato pericoloso e le stesse processioni, che da secoli caratterizzavano la vita di tuti i paesi d'Italia coinvolgendo l'anima del popolo, divennero pretesto per offese gratuite e blasfeme da parte dei sovversivi, se non per veri e propri assalti. Il 13 Giugno 1920, a Rho (Milano), i massimalisti avevano assaltato una chiesa, uccidendo un cattolico e ferendo gravemente due Preti: Era il 13 Giugno del 1920 e, come ogni anno, la Domenica dopo l'ottava del Corpus Domini, si festeggiava la Festa del Sacro Cuore; alle due del pomeriggio, al suono delle campane, i rhodensi cominciarono ad affluire sul piazzale del santuario della Beata Vergine Addolorata. In quel momento giunse sul piazzale anche un gruppo di socialisti, arrivati a Rho con il tram da Milano per l'inaugurazione di alcune bandiere; dopo aver insultato i presenti sul piazzale, e averli offesi gridando bestemmie, spezzarono l'asta di un'orifiamma con il simbolo del Comune di Rho, e bruciarono lo stendardo. I presenti tentarono di reagire, ma furono presi a bastonate; intervenne anche un Oblato, Padre Rebuzzini, ma venne ferito gravemente con un colpo di bastone spezzato sul suo capo. Ad un certo punto sul piazzale echeggiarono alcuni colpi di rivoltella: uno colpì Natale Schieppati, ma l'orologio da tasca deviò il colpo e gli salvò la vita; un altro ferì mortalmente Angelo Minotti, che spirò dopo mezz'ora di agonia. Inaugurate le bandiere, i socialisti risalirono sul tram, non prima, però, di aver sparato altri colpi di rivoltella in aria. Il fatto destò un'impressione enorme in città. Il giorno seguente fu sospeso il mercato e furono proclamati il lutto cittadino e l'astensione totale dal lavoro; alle diciotto dello stesso giorno fu celebrato il funerale, con una enorme partecipazione di popolo, la presenza di gran parte delle associazioni cittadine e dell'onorevole Cavazzoni, deputato del Partito Popolare. "Angelo Minotti fu sepolto in terra comune. Era povero". Incredibilmente, il giornale socialista l'"Avanti!" accusò i cattolici di aver aggredito con le armi la manifestazione socialista: "Ieri, a Rho, contro un corteo socialista si sono preparati i bastoni ed i sacchetti di sabbia per colpire, si sono innalzate delle bandiere politiche in chiesa, si è suonato a stormo le campane, si è sparato. E perché nella mischia uno dei loro è caduto, si proclama oggi lo sciopero di protesta, gridando assassini agli avversari". La stessa accusa fu lanciata, in modo ancor più grottesco, dal giornale anarchico "L'Umanità Nuova": "Certo è che a un certo punto dalla chiesa incominciarono a sparare sulla folla la quale reagì assaltando la chiesa ed i suoi difensori. Vi fu uno scambio nutrito di bastonate ed anche qualche colpo di rivoltella. Rimase ucciso un 'bianco' ed altri cinque sono feriti, di cui uno dicesi gravemente". Non ci fu alcuna inchiesta sull'omicidio 1 .

Da Vittorio Veneto alla Marcia su Roma. Il Centenario della Rivoluzione fascista, 2021
Quell'Estate del 1920 era un'Estate rovente per l'Italia, non solo per le torride temperature che... more Quell'Estate del 1920 era un'Estate rovente per l'Italia, non solo per le torride temperature che si registravano, ma anche per i disordini politici e sociali endemici che avevano messo in ginocchio l'intera Nazione, ormai sul baratro della rivoluzione bolscevica. Erano le convulsioni insurrezionali del Biennio Rosso, periodo nel quale tutti credettero possibile l'avvento in Italia del terribile comunismo "asiatico": «Fare come in Russia!» non fu solo un grido di speranza per i sovversivi, ma pratica quotidiana di violenza, prevaricazione, odio. Nelle campagne si vivevano giorni tristissimi per i proprietari e le famiglie di sentimenti nazionali, mentre le masse bolscevizzate erano inebriate dal "sol dell'avvenire" che sorgeva all'orizzonte. Le Leghe rosse -ma anche quelle bianche -imponevano il loro ordine rivoluzionario, con tanto di Guardie Rosse, dazi, taglie, boicottaggi, estorsioni. Ovunque, scioperi ed occupazioni di terre. Ovunque i proprietari vivevano in un clima di assedio, di prossima resa dei conti. E chi tentava di opporsi si vedeva soffocato dalla violenza della massa mobilitata in servizio permanente per la rivoluzione. Le famiglie di sentimenti nazionali costrette al silenzio, emarginante nella vita sociale quotidiana, spesso costrette all'esilio… Qui valga una precisazione: per "proprietario" non si intendeva solo l'Agrario, il grande possidente, ma anche tutti coloro che avevano un modesto appezzamento e coloro che "aspiravano ad averlo", per nulla attratti dalle sirene dell'internazionalismo socialista, dagli utopici progetti del "comunismo della terra", tutti atterriti dalle violenze degli associati alle Leghe rosse. I grandi proprietari terrieri, chiusi a riccio in difesa dei loro egoistici interessi, cercavano in tutti i modi di resistere, troppo spesso violando i concordati in precedenza sottoscritti, contribuendo alla crescita della conflittualità. Ad ogni violazione, infatti, corrispondeva una reazione e, quindi, nuovi scioperi, minacce ai "liberi lavoratori" ingaggiati per sostituire gli scioperanti, taglio delle viti, incendio di fienili, mutilazioni di animali, impedimento della mungitura, aggressioni fisiche, occupazioni di terre e violazioni della proprietà privata. Si era giunti ad un punto di non ritorno, tutti ormai aspettavano eventi imminenti a carattere eccezionale. La borghesia si chiudeva in se stessa impaurita, aspettando anch'essa il "giorno della vendetta proletaria". I mesi passavano e, sebbene la tanto annunciata rivoluzione tardava a concretizzarsi, qualche grande proprietario -non sappiamo se più impaurito o più egoista -cercò di resistere alle violenze, provando a difendersi da quella che era diventata una vera e propria minaccia di morte. Fin quando la lotta si fosse limitata alle discussioni sui patti di lavoro, sulle concessioni da fare ai lavoratori, ben pochi avrebbero posto obiezioni. Del resto, era una conflittualità politica e sociale che da decenni si trascinava nelle campagne di mezza Italia. Ma ora si era passato veramente il limite. La protesta aveva varcato il limite dello sciopero organizzato per trascendere in violenze generalizzate e soprusi che non solo attaccavano direttamente il diritto di proprietà e la libertà di pensiero, ma anche la famiglia dello stesso proprietario. Non si era, quindi, davanti ad una semplice lotta sindacale o politica. Si era davanti allo scontro di due "mondi", uno che sorgeva e uno che tramontava. E per chi "cadeva" non vi sarebbe stata pietà. Quei lavoratori in lotta non combattevano certamente solo per un più che legittimo e sacrosanto diritto alla dignità, a migliori condizioni lavorative. Combattevano per un "mondo nuovo", per sovvertire le Istituzioni che li avevano resi "schiavi", per una "liberazione" nel comunismo, per vendicarsi dei soprusi subiti, per odio di classe. Combattevano, prima di tutto, per la rivoluzione, per instaurare la tanto agognata dittatura del proletariato. Per i proprietari un conto era difendere la propria visione politica e i propri ideali (legittimi essendo ancora in democrazia), un conto era difendere i propri beni (diritti garantiti costituzionalmente), un altro era difendere la vita dei propri famigliari, minacciati e vilipesi quotidianamente da turbe di
Uploads
Papers by Pietro Cappellari