LO SPERIMENTALISMO LETTERARIO NEL ROMANZO MODERNO AMERICANO
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Abstract
Recebido a 15 de outubro de 2018 Revisto a 30 de novembro de 2018 Aceite a 08 de dezembro de 2018 RIASSUNTO Quello della rappresentazione artistica, cioè il passaggio dei dati della realtà attraverso lo sguardo di un osservatore-artista che produce una rappresentazione del mondo, è uno dei temi cari alla letteratura americana del '900. Nello specifico, lo sperimentalismo letterario di Fitzgerald, Hemingway e Stein, rappresenta il problema del Modernismo in rapporto alla rappresentazione della realtà. Se la Stein propone un'applicazione dei principi del cubismo alla letteratura, con un esito prettamente artistico, Fitzgerald propone il tema del punto di vista da un'altra prospettiva, secondo cui l'individualità non può essere trascesa e una verità mai raggiunta. Infine, la riflessione di Hemingway si incentra sull' interrogativo stilistico del come esprimere artisticamente la realtà senza essere falsi e barocchi, rinunciando a orpelli che oscurino la realtà e offuschino la percezione delle posizioni e delle riflessioni degli autori.
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2023
La nascita di ogni forma d'arte è da sempre collegata all'esigenza di creare mondi inesistenti, o di rielaborare il mondo esistente conferendogli nuove sfaccettature, permettendo all'artista di comunicare il proprio personale punto di vista. Comunicazione è proprio la parola chiave del processo artistico e letterario, originato dal bisogno non solo di uno sfogo, ma di una vera e propria "via d'uscita" da una realtà opprimente che non lascia spazio alla libera espressione dell'individuo: senza l'insoddisfazione non esisterebbe l'arte; essa, dunque, si trasforma in una condizione da cui è possibile trarre vantaggio, la prerogativa necessaria affinché si possa generare quel diverso punto di vista che si rivela essenza dell'anima e che si scontra incessantemente con l'insensatezza della realtà sensibile. La manifestazione del senso dell'io, della sua verità, finisce per celare la sua natura maligna data la sua difformità rispetto ai dogmi imposti dalla società, ma che diventa arte in quanto estranea al mondo; il lavoro introspettivo dell’autore porta alla nascita di romanzi dominati da personaggi contraddittori, caratterizzati da una soggettività scissa tra gli schemi morali e sociali imposti e il caos di una dimensione "altra" della coscienza, cioè l'inconscio. Personaggi che hanno gettato le basi del villain che tutt'ora ritroviamo all'interno di un qualsiasi racconto, che sia tra le pagine di un romanzo o tra i fotogrammi di un film: la letteratura russa, in questo senso, gioca un ruolo di prim’ordine. Nel mio elaborato ho tentato di analizzare ed approfondire l'io interiore di questi personaggi, attraverso l'indagine del vissuto che inevitabilmente ne ha plasmato l'indole e il modus operandi che ne scaturisce; l'indagine comprende anche e soprattutto la storia personale dell'autore stesso, del contesto storico e degli eventi cruciali che ne hanno foggiato il pensiero artistico e letterario, e che sublimano nella realizzazione di quelle forme d'arte originate dall'esigenza di comunicare. Nel primo capitolo mi sono concentrata sulla figura del villain romanzesco, e su come esso stesso sia il prodotto del ruolo sociale di un sistema dispotico, ponendosi come il riflesso di tutti quegli istinti repressi dall’imposizione di una rigida morale. Un concetto che, come constatato nel secondo capitolo, si lega strettamente alle crude modalità di rappresentazione del reale introdotte dai maggiori esponenti della letteratura russa, quali Puškin, Lermontov, Gogol’, Turgenev, Tolstoj, Čechov e, naturalmente, Dostoevskij. Nel terzo capitolo ho approfondito il vissuto personale di quest’ultimo che influenza ampiamente la sua produzione letteraria che, a sua volta, si configura come il risultato di una profonda conoscenza dell’animo umano e di quel ripostiglio interiore da lui definito sottosuolo. Il dinamismo travolgente della natura umana è intuito e compreso dallo scrittore mediante la profonda indagine che compie su se stesso in primis, servendosi di quest’ultima per puntare uno sguardo sensibilmente rivelatore sull’uomo; perché è dal suo personale dolore che scaturisce la capacità di comprendere quello altrui, mostrandosi in grado di riconoscere ed accettare l’esistenza dell’indole ambivalente dell’individuo che, di fronte ai due poli opposti, ha la possibilità di convergere verso l’esito redentore del bene o l’esito distruttivo del male. Nel quarto capitolo ho voluto dimostrare, attraverso l’esempio di quattro grandi esponenti della cultura italiana quali Alda Merini, Giacomo Leopardi, Cesare Pavese e Paolo Sorrentino, come l’espressione artistica affondi le sue radici nell’elaborazione di un male che non diventa un limite, ma fonte d’ispirazione; perché l’arte non è altro che la sublimazione di quel vissuto turbolento che non viene demonizzato e anestetizzato ma accolto come ingrediente necessario, assoluto, affinché il prodotto finale si ponga come richiamo universale. La presa di coscienza di quel lato oscuro e di ciò che racchiude può avere, dunque, due risvolti differenti: lasciare che ci annienti scegliendo di restare intrappolati nell’impasse di un dolore paralizzante, o far sì che si evolva, che non venga sprecato e muti in quell’espressione di sé che arreca conforto a chi la produce e a chi vi si immedesima scorgendo risposte ai problemi e ai conflitti posti dalla propria epoca.
Studi secenteschi, 2018
Il guercio, il zoppo ed il gobbo non entri nel regno nostro, sotto la pena di esser dalla sua dama schernito. I'm gonna find me some kind of good woman, even if she's dumb, deaf, crippled or blind. 1 Il titolo scelto da Margherita Costa, 2 Lettere amorose, è con ogni probabilità consapevolmente equivoco, posto che l'opera disattende i tratti pertinenti della tradizione alla quale si allude, ben consolidata nel circuito editoriale avviato, quasi un secolo prima, dall'omonima raccolta del Parabosco. 3 Morfologia, impronta stilematica, codice comunicativo e finalità 1 Guidobaldo Benamati, Il prencipe Nigello, Venezia, Bertani, 1650, p. 127; Buddy Guy, One Room Country Shack, in A Man and the Blues, New York City, Vanguard Records, 1968. La trascrizione dei testi antichi si atterrà a criteri ortografici orientati all'uso odierno.
Un tempo si uccidevano i cristiani e poi questi ultimi, con la scusa delle streghe, ammazzavano i pagani" FRANCO BATTIATO da Venezia-Istambul (in "Patriots", EMI, 1980) NOTA INTRODUTTIVA La presente stesura tende a discostarsi in taluni punti da quella originaria, ovvero dal lavoro presentato e discusso nel corso della sessione di laurea per l'Anno Accademico 1989/90.
Correlatore: Prof. ssa Giovanna ROSA Tesi di laurea di: Leana ROTA Matr. 865295 ANNO ACCADEMICO 2015/2016 1 INDICE Introduzione p. 4 I. UN LETTERATO MANCATO La formazione umanistica e la precoce vocazione letteraria 15 Ai limiti della grafomania: l'esorbitante produzione 25 Genio e follia: i casi di alienati letterati 35 Lo strano incontro con Tolstoj 54 Palimsesti del carcere 65 II. LETTURA DE L'UOMO DELINQUENTE Genesi ed edizioni dell'opera 81 Riferimenti letterari in un testo scientifico 90 Una scrittura inconfondibile: "novelle lombrosiane" 110 III. ECHI DI LOMBROSISMO NELLA PRODUZIONE ROMANZESCA COEVA De Amicis, Cuore e la delinquenza minorile: l'esempio di Franti 128 Carolina Invernizio, regina del feuilleton a tinte scure 144 Capuana nel mondo degli spiriti 161 Zola, La bête humaine 182 2 Paolo Mantegazza e la divulgazione scientifica popolare 203 Carlo Dossi tra Autodiàgnosi e Mattòidi 225 Balzac e il personaggio di Vautrin ne La Comédie humaine 249 Il delinquente epilettico in Dostoevskij: Delitto e castigo 274 La nascita di un nuovo genere letterario: il romanzo poliziesco 296 Bibliografia 318 3 INTRODUZIONE Avendo maturato nel corso della sua lunga carriera esperienze in ambiti del sapere molto diversi, se non addirittura disparati, oggi Cesare Lombroso potrebbe essere oggetto di studi di varia appartenenza disciplinare, aventi tutti però come comun denominatore quella scientificità tanto cara e tanto perseguita da quello che probabilmente può essere considerato uno dei più grandi esponenti del positivismo italiano nel mondo. Ecco che allora potremmo ritrovarlo come protagonista di una tesi in medicina, UN LETTERATO MANCATO La formazione umanistica e la precoce vocazione letteraria Ezechia Marco Lombroso, soprannominato e poi chiamato da tutti Cesare, nasce a Verona il 6 novembre 1835, secondogenito di una coppia di genitori entrambi appartenenti ad agiate famiglie ebraiche. Del Lombroso bambino sappiamo che era dotato di una sensibilità e di un'intelligenza che si manifestarono entrambe precocemente e che si accompagnavano ad un temperamento apprensivo, un ingegno vivo e una fervida fantasia, caratteristiche che non lo abbandoneranno nemmeno in età adulta ma che la professione scelta gli imporrà di mitigare e contenere. Tra tutti i membri della sua famiglia, oltre alla madre Zefora, donna energica, moderna e amante della letteratura, gli fu particolarmente vicino durante un soggiorno presso la casa dei nonni materni a Chieri il cugino David Levi, il famoso patriota, che si occupò non solo della sua primissima formazione scolastica insegnandogli a leggere, a scrivere e a comporre versi 1 , ma anche della 1 "Probabilmente gli raccontava storie improvvisate, le quali dovevano anche rispecchiare gusti e tendenze della letteratura francese contemporanea, in particolare del Balzac, che dominava la vita letteraria à la page: certe sue creazioni di vicende di criminali e di poliziotti potevano conquistare l'attenzione e l'ammirazione di un fanciullo credulo e fantasioso quanto timido e gracile, che eccitato dai congiunti, declamava il canto del conte Ugolino usando come teschio una pagnotta." L'ipotesi, alquanto plausibile, è avanzata in L. BULFERETTI, Cesare Lombroso, Torino, UTET, 1975, p.7, che costituisce qui la fonte principale per la ricostruzione della prima parte della vita di Lombroso, quella meno documentata. L'aneddoto relativo alla declamazione dei versi del conte Ugolino con il teschio-pagnotta in mano è riportato anche altrove, sebbene ci sia un po' di confusione sull'identità del declamatore: "Ritto in piedi sul tavolo della cucina, Davide Levi recita al nipote i versi immortali del conte Ugolino reggendo in mano un teschio artigianale, fabbricato modellando e sforacchiando una pagnotta.", L. GUARNIERI, L'atlante criminale. Vita scriteriata di Cesare Lombroso, Milano, Mondadori, 2000, p. 20. 15 sua formazione etico-politica infondendogli quegli stessi entusiasmi rivoluzionari che egli nutriva in prima persona e che Cesare non dimenticherà nemmeno una volta adulto. 2 Sul piano dei rapporti umani, il giovane era animato da slanci spontanei di simpatia e di ingenua amicizia per il prossimo, anche se questo lato più estroverso veniva attenuato da una tendenza riflessiva, meditativa, che lo portava all'isolamento, sebbene desiderasse ardentemente il contatto con gli altri. L'inclinazione per le letture dettategli dal gusto personale e per un certo autodidattismo non compromise però il rendimento dello scolaretto Lombroso dal momento che "alle scuole elementari pubbliche, che rappresentarono la novità dell'incontro sociale, si fece molto onore ricevendo in premio l'opera di Apuleio L'asino d'oro, che lo riempì di gioia." 3 Si cimenta appassionato nella scrittura di versi in proprio, tra cui una tragedia sopra un re normanno 4 , anche se questo esercizio si concretizza perlopiù in imitazioni delle opere dei suoi amati Ariosto e Milton: l'Orlando Furioso e il Paradiso perduto 5 i preferiti in assoluto; parallelamente, continua ad alimentare ed incrementare il suo patrimonio di conoscenze attraverso la lettura di classici dell'antichità, soprattutto di quella latina: poeti come Orazio, Catullo, Lucrezio e storici come Tacito e Plutarco. 2 "La presenza imprevista del nipotino, vergine creta sotto la spatola delle sue mani nate per modellare, consente all'esausto patriota di dar sfogo alle sue velleità pedagogiche. In quei memorabili mesi inculca al fanciullo un sommo disprezzo per la menzogna; lo infiamma di passione per la libertà, fonte perenne di ogni progresso; gli insegna a scrivere e ad amare la poesia", L. GUARNIERI, L'atlante criminale cit., p. 20. 3 L. BULFERETTI, Cesare Lombroso cit., p. 8. 4 "Nulla ci resta di questa precocissima attività letteraria perchè tutte le carte vengono bruciate in un incendio che nel 1846 distrugge la proprietà paterna" in P. BAIMA BOLLONE, Cesare Lombroso, ovvero il principio dell'irresponsabilità, Torino, SEI, 1992, p. 3. 5 "A 8 anni gli capitò sotto mano l'Orlando furioso che lo colpì profondamente e gli ispirò un gran poema in ottava rima. Un altro poema lo fece dopo la lettura del Paradiso perduto di Milton" in P. e G. LOMBROSO, Cesare Lombroso. Appunti sulla vita. Le opere, Torino, Bocca, 1906, p. 15. 16 Oltre al cugino, figura eroica agli occhi di un bambino, come già precedentemente accennato fu la carismatica madre Zefora 6 ad occuparsi della sua precoce educazione 7 e ad incoraggiarlo verso un tipo di apprendimento laico e non conforme a quello imposto, tanto da decidere, di comune accordo con il figlio, già mostratosi ribelle e libero pensatore, di ritirarlo nel 1850 dalla scuola pubblica (laica per statuto ma sotto la paradossale direzione dei gesuiti) per continuare gli studi privatamente sotto la guida di un precettore, il botanico veronese Giulio Sandri. 8 Nel frattempo Cesare, ormai adolescente, s'è fatto insolitamente malinconico e introverso, dopo aver vissuto sulla propria pelle, durante gli anni della scuola, la scottante delusione di un'amicizia tradita. L'episodio merita di essere raccontato, anche perchè lo segnò profondamente: il ragazzo in questione, coetaneo esuberante e spesso squattrinato, nonostante fosse di famiglia ricchissima, aveva affascinato con la sua allegria il nostro Lombroso, il quale, sebbene timido, si affezionò immediatamente a lui fino al giorno in cui scoprì che questi gli aveva 6 Sul padre Aronne le fonti sembrano essere tutte concordi nel ritrarlo negativamente e come personaggio rimasto all'ombra della moglie, donna forte e risoluta: inetto nell'amministrazione economica del patrimonio familiare, non influì nemmeno sull'educazione impartita ai figli. Così lo ricorda la nipote Gina, figlia di Cesare: "Era questi, nel fisico come nel morale, un tipico discendente dei Lombroso. Piccolo, gli occhi celesti, i capelli biondi, divisi alla russa, a metà del capo, la barba folta, marcate e inarcate le sopracciglia, piccolissime le mani e i piedi, l'andatura un po' goffa; uomo onestissimo, scrupolosamente sincero, dolce e delicato nei sentimenti, affettuoso, vivace, colto, pieno di fantasia, ma timidissimo, senza pratica alcuna del mondo e degli affari, pauroso di tutto e di tutti, generoso, disordinato e religiosissimo.", in G. LOMBROSO FERRERO, Cesare Lombroso. Storia della vita e delle opere narrata dalla figlia, Bologna, Zanichelli, 1921, p. 3. 7 "Già a quattro anni conosceva le Vite di Plutarco ricevendo in premio dalla madre una mela per ogni vita riassunta e da questa gli furono instillati i principî del libero sentire, così contrastanti con la religiosità ortodossa del padre.", L. BULFERETTI, Cesare Lombroso cit., p. 8. 8 "Testimonia una precisa scelta culturale e politica (...), lo spregio per l'insegnamento ufficiale servile e deformatore, per le scuole d'ignoranza intrise di retorico classicismo, il desiderio delle scienze positive allo scopo di evitare la faciloneria dei giornalisti e la fede nella approfondita meditazione della storia e della natura.", Ibid. p. 10. 17 sottratto di nascosto, per poi rivenderlo alle bancarelle, un testo del poeta latino Lucrezio, al quale il proprietario teneva particolarmente: l'evento lo ferì a tal punto da interrompere ogni rapporto ed isolarsi ancor più.
La solitudine del potere., 2009
La tesina tratta dell'opera "Don Carlos", di Giuseppe Verdi.
Il Romanticismo è una corrente culturale che si afferma in Europa tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento. Il termine "romantico", nel Seicento, era usato in modo spregiativo; solo nei primi anni dell'Ottocento assunse un significato positivo.
ANTONIANUM - XCVII, 2022
L'oralità nella letteratura somala La cultura somala è, generalmente, una cultura basata sull'oralità. Le tradizioni, i saperi, le tecniche così come la vasta poetica e le altre forme letterarie della cultura somala, sono tramandati di generazione in generazione attraverso l'oralità. Poco si perde, ma molto si trasforma. Col passare del tempo, le tradizioni si arricchiscono e si rafforzano, i miti assurgono a storia. I costumi generano norme sociali. "Appartenere ad una cultura che ha da sempre affidato all'oralità le sue più alte espressioni letterarie ha il pregio di farti apprezzare, se non altro per la curiosità e per il fascino, la parola scritta. Per la mia cultura di origine, che è per eccellenza una cultura dell'oralità, il limite della scrittura (o il pregio, dipende dal punto di vista) sta nel fissare una volta per sempre la tua idea, la tua posizione circa una determinata questione, a differenza dell'oralità che ti permette una grande flessibilità, un adattamento ad ogni situazione. Si tratta di una caratteristica resa necessaria dall'ambiente naturale e sociale dentro il quale la vita si svolge. L'adattamento è la condizione necessaria per sopravvivere. Con la scrittura, invece, una volta che hai espresso un'idea devi mantenerti coerente ad essa. Al limite, è permessa un'interpretazione critica del tuo lavoro, della tua idea, spesso da parte di qualcun altro che proprio attraverso le tue stesse parole riformulerà il suo personale pensiero intorno al tuo. Spesso affermando tutt'altro di quanto tu pensavi di aver scritto. Questo aspetto viene considerato dal mondo delle culture orali come fortemente limitativo. Dall'altra parte, chi viene introdotto nella parola scritta ha la possibilità di creare una poetica personale, individuale. Nello stesso tempo, se appartieni ad una cultura e a tradizioni patriarcali, diventa possibile produrre una nuova poetica collettiva, corale. Perché il tuo retroterra culturale ti apparirà come una ricca miniera con inesauribili filoni di ogni genere letterario. I personaggi, nel caso della narrativa, sono già tutti lì, da tempo, ad attendere la tua conversazione. Il vissuto e le testimonianze di generazioni e generazioni di persone stanno nell'aria che respiri, nella terra, nelle piante, nei nomi delle cose, e persino in te stesso. Scoprire questo mondo significa entrare in una dimensione temporale di indescrivibile bellezza, prenderne coscienza significa capire ed accettare una missione per la quale si è destinati. Inoltre, cosa di non poca importanza, passare dall'oralità alla scrittura ti offre la rara possibilità di contribuire alla costruzione di un certo ordine di coerenza, nonché una presa di posizione su alcuni argomenti di grande interesse per la tua società. Per coloro che riescono a compiere questo salto di qualità, non è possibile scrivere nulla che non abbia rilevanza e significato per la società e per il suo avvenire. Per chi sceglie la parola scritta, in particolare per colui che è lontano dalla propria terra, la scrittura rappresenta la possibilità di far conoscere ed apprezzare la cultura di origine a quanti non la conoscono nella società dove egli ora si trova. È una prospettiva molto allettante, ma utile solo nella misura in cui, tu scrittore, potrai avere le idee chiare riguardo al percorso ed al fine della tua poetica. Così come è chiaro e irrinunciabile il tuo esatto punto di partenza, il tuo substrato storico e sociale. In altre parole, si arriva a conoscere se stesso attraverso la conoscenza della propria società. È questo ciò che avviene. Non si arriva da nessuna parte se prima non si è riconosciuta la propria origine, e dopo averla riconosciuta non le si è dato il suo valore: di origine della conoscenza e di ogni poetica. Tramandandosi a voce, da una generazione all'altra, nel tempo, la poetica dell'oralità si accresceva ed acquistava consistenza. Si caricava di valori e di simboli collettivi che ne facevano una vera e propria 1 This work has been published in Gnisci, Armando, and Nora Moll, eds. Diaspore europee e lettere migranti. Vol. 1. Edizioni Interculturali Uno, 2002.
2020
The essay looks at the production, distribution, and consumption of the Italian novel in the global editorial market in the context of what Mark McGurl has called “the age of Amazon.” By drawing from studies on so-called “platform capitalism,” but also from those concerning the restructuring of the editorial market, the essay considers the increasing importance of branding, and in particular of national brands, in the editorial policies of the last two decades.

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