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DIFFICOLTA' PROGETTI RIABILITATIVI

RELAZIONE -Torino -PROGEST

Abstract

Dal punto di vista, che potrebbe sembrare " ristretto " , di chi fa ricerca e teorie della mente, vorrei tentare di individuare il problema che secondo me, tra altri vari problemi, è importante quando parliamo di pratiche nel mondo dell'handicap, di interventi sulla riabilitazione e sulla malattia mentale. Perché queste attività non funzionano come potrebbero funzionare o non funzionano come vorremmo che funzionassero? Uno dei punti di difficoltà per cui queste attività vivono fasi di crisi è la mancanza di un intervento integrato tra le varie sedi, le diverse figure professionali, le differenti iniziative; la mancanza di progetti che siano realmente tali, di un'integrazione dei vari punti di vista e delle varie metodologie. E una delle cause che sta a monte di ciò è facile da individuare: è il fatto che prima di tutto non si costruisce un sapere condiviso e un linguaggio comune e in secondo luogo i saperi rimangono non solo separati, ma purtroppo disconosciuti e gerarchizzati. Questi sono ostacoli precisi alla possibilità di costruire un progetto e un intervento efficaci. Chi fa ricerca non può non capire l'importanza dello studio interdisciplinare: l'Università è nata come universitas studiorum, cioè non un singolo studio (come era, per esempio, quello di Padova di legge o quello di Salerno di medicina), ma l'università delle discipline, l'università degli studi, cioè in sostanza l'idea che le scienze sono multiple e molteplici e ci sono molti saperi scientifici di pari dignità e di eguale importanza nell'efficacia d'intervento sulla società e sulla natura. Di questo dobbiamo prendere coscienza perché quando noi neghiamo conoscenza, quando neghiamo competenza a una parte delle figure che operano nel campo della malattia mentale, non solo noi neghiamo la loro professionalità e creiamo seri problemi di interazione e di lavoro di gruppo e di sviluppo e di crisi e di burnout , ma noi andiamo a sottrarci strumenti di comprensione e di intervento fondamentali. Non è possibile infatti che chi più è vicino al problema, che chi più conosce il caso della persona non abbia poi spazio di parola, sia estromesso dal progetto di riabilitazione e non vi possa portare il suo contributo. Che cosa accade, allora? Mi trovo a essere un operatore che lavora «in prima linea» e non solo non decido, ma neanche posso suggerire. Le informazioni, gli eventi importanti, i risultati di azioni quotidiane e quanto può nascere in termini di comprensione e di suggerimento da tutto ciò non viene usato, non viene messo a frutto perché non viene «cifrato» nei linguaggi delle nostre discipline ufficiali: e questo è un danno che si paga. Dobbiamo accettare l'idea che ci sono diverse scienze dell'uomo, diversi saperi scientifici e professionali e che questi saperi discendono da professioni differenti. Ci sono scienze dietro al sapere degli educatori, così come ci sono scienze dietro al sapere degli assistenti sociali e alle spalle di tutte quelle figure professionali il cui solo limite è talvolta quello di non essere in grado di esprimere tali saperi e di non rappresentare in forma teorica necessaria e ufficiale ciò che capiscono, ciò che sanno, ciò che fanno. Ma non è un problema loro, è un problema dell'operatività generale. Vorrei esprimere – proprio nel momento in cui sottolineo questa difficoltà e questa critica – l'immensa stima che ho per i medici e per gli psichiatri che lavorano sulla malattia mentale nelle comunità alloggio o nei gruppi appartamento; una stima dovuta proprio al fatto che le gerarchie dei poteri, delle categorie, dei saperi sociali consentirebbero loro altre strade che non cimentarsi in una frontiera del servizio sociale così ardua. Vuol dire che hanno capito qual è la reale natura della malattia mentale e che hanno il coraggio di andare alle radici del problema. Ma, non neghiamolo, un passo ulteriore è necessario. Se da un lato gli altri saperi e gli altri operatori devono essere capaci di esprimersi a un livello adeguato di conoscenza, di documentare il sapere che costruiscono e non ridurlo a mere pratiche; dall'altro, gli operatori che provengono da saperi forti devono avere il coraggio di capire che in quelle altre professioni c'è un sapere, che si può