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Gli spazi della narrativa

2019

Abstract

Slepi časi Pier Antonija Quarantottija Gambinija Beseda 'prostor' ima več različnih pomenov. V literarni analizi kot tudi v našem vsakdanu je zanimanje za prostorsko razsežnost pogosto drugotnega pomena. Šele nedavno se je v semiotiki zgodila sprememba v korist tekstovnega in diskurzivnega pristopa, kjer je pomembno subjektivno poseganje v oblikovanje sveta, torej tudi prostora (Cavicchioli 2002). Pier Antonio Quarantotti Gambini, osrednja osebnost v panorami književnosti 20. stoletja na območju Julijske krajine, je veliko svojega leposlovnega snovanja namenil opisom prostora. V zbirki Slepa leta avtor intenzivno opisuje Koper, na katerega je čustveno močno navezan (Zudič Antonič 2014). Po teoretični obrazložitvi semiološkega pogleda nad prostorskim opisom ter strnjenem vpogledu v zgodovino književnosti, skozi katerega bomo razkrili zaporedje različnih konvencionalnosti in stopenj konvencionalnosti, bo sledila analiza nekaterih prostorskih opisov v Gambinijevi zbirki Slepa leta. Analiza bo prvenstveno izhajala, upoštevala in postavila v središče 'opazovalca' in njegov 'vidik', njegove 'kognitivne kompetence', odnos med prostorom in zgodbo ter 'izotopije prostora'. Odkrili bomo, da je v pripovedi analiza prostora temelj vseobsežnega razumevanja pomena celotnega dela, še posebej v pričujočem primeru, kjer Quarantotti Gambini uporablja prostor na različnih ravneh kot temeljni element celotne zbirke.

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  1. La prossima pausa descrittiva invece anticipa, all'interno del romanzo, la spiacevolezza della scena che verrà a seguire. Non osava interrogarla neanche adesso, salendo con lei le viuzze che portavano al centro della città. Erano vie strette, storte e quasi sempre oscure, calli; e percorrendole Paolo aveva l'impressione d'attraversare una zona ch'era il rovescio, la parte nascosta della città. Altre erano le strade ch'era stato uso percorrere col nonno in carrozza: la riva, davanti ai moli da cui partivano i vaporetti per Trieste, un viale in salita dai grandi alberi che facevano come una galleria di fronde, una via breve ma luminosa e diritta, la Piazza tra il campanile e i palazzi, e un'altra piazza, piú grande, che pareva un immenso cortile dietro la chiesa. Perché la mamma veniva invece da questa parte misera, in ombra? Sboccarono infine in un vialone che Paolo non tardò a riconoscere (dalla seconda piazza, portava in lieve discesa fuori di città, egli era stato anche lì col nonno); e la mamma andò verso un portone rossiccio che si apriva in un breve muro di cinta, tirò il campanello a mano, sospinse il battente ed entrò.
  2. Paolo la segui; e, prima che il portone si chiudesse, si voltò a guardare il mare -uno specchio d'acqua queta e morta -che luccicava tra le foglie in fondo al viale. Una signora anziana, un po' grassa, venne incontro alla mamma scendendo da una scala esterna, e l'abbracciò piangendo (Quarantotti Gambini 1971, 313).
  3. Paolo e la madre si trovano a bordo di una carrozza che percorre vie sconosciute e calli anguste; il protagonista cerca riferimenti nello spazio, ricordando i luoghi solari e felici che usava frequentare con il nonno in tempi migliori. Viene così tracciato un altro limite spaziale, che in questo estratto divide nettamente la Capodistria estiva di Paolo da quella che il protagonista sta conoscendo durante il periodo bellico. Anche nella prossima descrizione spaziale troviamo il nostro protagonista a bordo di un veicolo, ma in una situazione molto diversa. Era in treno, nel primo vagone, vicino alla macchina; vedeva Semedella, coi pioppi ingialliti del Prato, e più su la casa Amidei, bianco-azzurrina, e i pini scuri del boschetto, fuggire all'indietro sempre più rapidamente. Poi tutto mutò; i pioppi scomparvero, si vide ancora la casa, ma di fianco e come sbilenca tra il pergolato giallo-rosso (quand'erano ingialliti i rampicanti?) e i pini che parevano ancor piú alti; Ma l'acqua era limpida da far venire voglia di berla. Certi mattini si vedeva tutto il fondo, come oltre un vetro verdino. E grandi rocce emergevano qua e là, brune e chiazzate d'alghe, lucide; bastava raggiungerle per potersi tuffare come da un trampolino. E l'orizzonte era immenso, e piroscafi o neri o bianchi passavano al largo, cosí piccoli contro il cielo che a farli sparire bastava un'unghia davanti all'occhio; e bragozzi veleggiavano nel vallone (e le vele erano sempre diverse: gialle e rosse, arancio e blu, con una croce o un cuore trafitto o un'ancora o un sole o una stella). Passavano cosí vicino, a volte, che Paolo udiva, oltre il vento e lo sciacquio, le voci di bordo e lo scricchiolare dell'albero e del timone e il cigolio dei paranchi. A stare fra acqua e sole il tempo volava; a Paolo pareva di essere appena giunto e invece era già la mezza: lo sapeva, anche senza orologio, dal vaporetto bianco col fumaiolo rosso e nero che doppiava, là in fondo sull'azzurro, Punta Grossa (l'estrema propaggine del promontorio che chiudeva dall'altro lato il vallone), puntando dritto verso Capodistria, accovacciata quieta intorno al campanile, che risaltava un po' alto contro il verde delle colline. E la brezza era cosí fresca -specie se Paolo stava in cima alla scarpata -che non gli pareva neanche d'essere al sole. Scottavano invece, lí sui lastroni di pietra; e ancor piú le rotaie. Ma sulla pietra si stendeva bagnato, e non appena asciutto si rituffava; e le rotaie era bello scorrerle con le dita. Consunte dal passaggio dei treni, scivolavano sotto i polpastrelli come argento levigato, e come argento luccicavano (quando il sole era alto mandavano lunghi bagliori, specie nelle curve, e molti anni addietro -ricordava Toni -avevano fatto talora impennare i cavalli che passavano per la strada lì accanto).
  4. Per gioco, e per farsi ammirare dai soldati, a Paolo piaceva far rimbalzare i ciottoli sull'acqua. Glielo aveva insegnato tanti anni fa lo zio Manlio: si sceglieva un ciottolo un po' piatto, lo si afferrava come un disco fra pollice e indice: e lo si lanciava liscio sul filo dell'acqua. S'ciac! S'ciac! S'ciac! Uno due tre quattro, talvolta cinque o sei balzi, prima veloci, poi sempre piú lenti, e il ciottolo infine affondava. Ma restavano, dovunque avesse sfiorato l'acqua, tanti cerchi che si allargavano rapidi, facendosi sempre piú lievi, sino a sparire. E talvolta si allargavano tanto da incontrarsi e inanellarsi coi cerchi vicini, e questi con gli altri piú oltre, e così via. Un fischio, ripetuto; e da ogni parte lungo la scarpata si alzavano figure di bagnanti: bisognava vedere, da quel drizzarsi di teste e di gambe e di braccia, quanti ce n'erano; prima e dopo, distesi al sole, non li si distingueva, e sembrava che la spiaggia, a perdita d'occhio, fosse quasi deserta. Quel fischio, ancora.
  5. Una specie di cassoncino nero, con un tubo in cima, avanzava sbuffando. Era un treno piccolo; Paolo se ne rendeva conto ora che conosceva i treni grandi.
  6. Ratata-tàn! Ratata-tàn! Ratata-tàn! Il treno passava oltre; e i bagnanti, rimasti in quel frattempo in piedi, tornavano a distendersi sui lastroni in cima alla scarpata. Ma altre teste e braccia e gambe si alzavano là in fondo, sempre piú lontano, via via che la locomotiva procedeva Questo lo attrae; è qualcosa di fresco che dà tutt'un altro senso, lieve, mattinale, al paesaggio. Di fresco: come quando, nella penombra della cucina, egli attinge da bere dal secchio gelido di zinco e, nel curvarsi, vede riflesso il proprio viso nel cerchio scuro lucente dell'acqua. E gli piace nelle saline deserte (ove non ha mai veduto asciugare il sale perché sono abbandonate, lasciate a sé stesse e ai pesci del fango, alle alghe, ai gabbiani, e si vanno impaludando verso la terraferma) quell'aria, che nulla turba, di selvatico. Sono aromatiche le piante, nei tratti interrati che il mare non lambe ormai piú; e strani gli uccelli, dal volo quatto, che si levano, con gridi rauchi. Ramarri screziati guizzano al sole, e in certi canali -c'è chi le ha viste -le bisce d'acqua (Quarantotti Gambini 1971, 565).
  7. Lo scrittore decide di aprire il romanzo con un ossequio fortemente sensoriale alla Capodistria della sua giovinezza, della quale in questo spezzone descrive sia dettagli come i fili d'erba, che il panorama nella sua totalità.
  8. Paolo, assieme a Nando, si muove all'interno dell'ambiente, sebbene nella descrizione il punto di vista appaia statico. Questa volta l'osservatore non interagisce con il paesaggio, ma il paesaggio interagisce con l'osservatore: attraverso i sensi Paolo sente la brezza, l'erba, il gorgoglio dell'acqua, ecc. Il gusto di Quarantotti Gambini per le descrizioni sensoriali, figurative e dal tono lirico è evidente in tutta la raccolta, ma è in questo estratto che arriva all'apice; il paesaggio sembra vivo quanto gli animali che lo abitano: Capodistria è accovacciata come un gatto, mentre ai colli affondati viene attribuito un capo, facendo esplicitamente riferimento alla configurazione antropomorfa.
  9. Paolo paragona la freschezza dell'immagine capodistriana riflessa nella palude, al piacere che prova nel dissetarsi bevendo acqua fresca dal catino di zinco della cucina: troviamo qui un'esplicita similitudine tra l'immagine riflessa della città e quella del viso di Paolo, ovvero di un Quarantotti Gambini ancora giovane. Lo scrittore a questo punto parla di un senso mattinale; il mattino, per definizione, è l'arco di tempo che apre le giornate, e dunque l'inizio ancora fresco e tenero di un qualcosa di nuovo. È con questa nota che Quarantotti Gambini decide di aprire I giochi di Norma; la descrizione spaziale d'impronta romantica è dunque l'overture con la quale l'autore ci introduce alle vicende del romanzo. Nel seguente estratto lo scrittore torna invece a concentrarsi sulla descrizione del reticolo spaziale. Verso sera si appollaiò, ancora intontito e scottante di sole, sulla forcella di uno degli alberi davanti alla scuderia, come soleva fare quand'era scontroso e non voleva parlare con nessuno. Di lassù, come dall'alto di una terrazza, vedeva digradare la campagna, sino al grande cancello ove terminava la proprietà del nonno. Più oltre, diritto come un tiro di schioppo verso la città, a quell'ora ancor gialla di sole, si stendeva il ponte, la grande strada che correva in mezzo all'acqua, tra il mare aperto e le saline. A Paolo piaceva guardare, di lassù, la doppia fila dei paracarri del ponte, sempre piú piccoli e piú uniti via via che si avvicinavano alla città, sino a confondersi l'uno con l'altro in due uguali linee azzurrine (Quarantotti Gambini 1971, 585).
  10. Nella pausa narrativa l'autore decide di esplicitare la divisione spaziale, dicendo che Paolo osserva lo spazio come dall'alto di una terrazza. Tuttavia, in seguito, tutti gli elementi spaziali si collegano l'uno all'altro succedendosi. Il gusto per l'interpretazione figurativa dello spazio in questo caso è segnata dal riconoscimento della forma dello schioppo nella figura del ponte e dalla descrizione dei paracarri, con la quale Quarantotti Gambini si distanzia dall'interpretazione puerile dello spazio, arrivando a descrivere, quasi disegnando, un'immagine che grazie anche all'attenzione per i colori e il tratto sembra un dipinto. La pausa descrittiva a seguire è l'unica in cui vengono inserite due distinte descrizioni spaziali. I pioppi del Prato, giù presso il mare, intorno alla chiesetta della Madonna di Semedella, erano ingialliti, e ora perdevano le ultime foglie; cominciarono ad alzarsi le prime bore. Toni sistemò la vittoria in un angolo della rimessa e prese ad attaccare soltanto il brum, la nonna chiuse le stanze del pianterreno e si andò sopra, nell'appartamento d'inverno. Paolo andava a scuola. Faceva ogni mattina il ponte a piedi, entrava a Capodistria, raggiungeva il ginnasio-liceo su per alcune calli sbilenche dalle piccole case. La scuola pareva grande, fra quei tetti, ed era antica e piena di lapidi; nel cortile si alzava un vecchio albero, dai rami spogli in quella stagione, un tiglio (Quarantotti Gambini 1971, 636-637).
  11. Nella prima parte troviamo un caso di débrayage, come abbiamo visto molto raro all'interno della raccolta; attraverso un piano descrittivo vediamo inizialmente un pino, successivamente l'inquadratura si allargherà, e sposterà riprendendo nell'insieme il paesaggio autunnale di Semedella da un punto di vista che non permette di individuare l'osservatore. Non è tuttavia
  12. Pozneje, v času baroka, najdemo virtuozno obvladovanje opisovanja narave, zgledno prisotnega v pesnitvi L'Adone Giambattista Marina (Grosser 1985).
  13. V 16. in 17. stoletju, ki sta ju zaznamovala znanstvena miselnost in znatno povečanje števila bralcev, ki ga gre pripisati razvoju tiskarstva, se hedonistično in ornamentalno opisovanje spremenita v funkcionalno in spoznavno opisovanje (Grosser 1985). Tako pridemo do romantičnega modela predstavljanja prostora, v katerem je notranje življenje globoko povezano z naravo in z domačim, urbanim in družbenim okoljem (Grosser 1985). V Goethejevem Trpljenju mladega Wertherja vidimo, kako avtor zliva čustva glavnega junaka v opise narave, ki ga obdaja (Grosser 1985).
  14. V drugi polovici 19. stoletja, ko romantiko izpodrineta naturalizem in verizem, okolje nič več ne odraža moralne dimenzije. Nasprotno, prostorske okoliščine vplivajo na obnašanje in ravnanje oseb. Koncept družbenega miljeja obvladuje teoretsko razmišljanje ter vzpostavi odnos medsebojnega vplivanja družbenih skupin in prostorov, v katerih le-te delujejo. V tej vrsti besedil so ambienti največkrat predstavljeni objektivno. Izjema je Verga, ki s subjektivnimi gledišči svojih likov doseže učinek nevtralnosti (Grosser 1985). In slednjič: v 20. stoletju opažamo pomembno težnjo k predstavljanju domišljijskih, surrealističnih, sanjskih ali znanstvenofantastičnih okolij. Avtorje kot so Kafka, Borges, Buzzati, Savinio in Landolfi še posebej odlikuje čut za miselne pokrajine. Ta pogled na prostor izhaja iz odtujenosti človeka v industrijski družbi, za katerega vsakdanji svet postane enigmatičen prostor (Grosser 1985).
  15. Pogosti so tudi mitizirani kraji iz otroštva, ki jih odrasla oseba ob ponovnem obisku ne prepozna. V ta okvir lahko s Pavesejem uvrstimo tudi Quarantottija Gambinija. Na drugi strani najdemo Moravijeve, Svevove in Pirandellove meščanske notranjščine, ki predstavljajo bivanjsko tesnobo njihovih junakov. Tej vrsti opisov so komplementarni dekadentni prikazi iz druge polovice 19. stoletja, ki -kot zasledimo v D'Annunzievem romanu Il piacere - idealizirajo te razkošne prostore, ločene od navadnega sveta (Grosser 1985).
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