Papers by Alessandra Parroni

Viaggio fluido- Libero itinerario nell'identità di genere, la differenza sessuale e la relazione di cura
La vita di ognuno è una continua narrazione, un intrecciarsi di storie cheraccontiamo a chi ci è... more La vita di ognuno è una continua narrazione, un intrecciarsi di storie cheraccontiamo a chi ci è vicino e in primo luogo a noi stessi.
Allo stesso modo qualsiasi tipo di psicoterapia è principalmente ascolto, analisi e attribuzione di significati, ricostruzione e ampliamento dei contenuti tramite i quali ciascuno narra se stesso. E poi restituzione di un senso più ampio. Una tela sul cui ordito si lavora in due.
Dopo oltre vent’anni di lavoro come psicoterapeuta, ho sentito la necessità di una riflessone. Vent’anni di ascolto di tante storie.
Interpretare il racconto dell’altro vuol dire aggiungere a partire da sé, dalle proprie risorse, consce ed inconsce, incontrarsi in un comune processo associativo, cercare insieme nessi e risonanze. Le storie individuali sono inserite in contesti più ampi, culturali, sociali, storici, ma anche e soprattutto ancestrali. Spesso ne richiamano altre alle quali somigliano e che tutti conosciamo perché ci sono state tramandate dai miti e dalle fiabe e fanno parte della nostra memoria collettiva.
A volte sembra che il filo conduttore di una vicenda personale sia stato smarrito nei labirinti che la vita costringe ad attraversare e in cui ci si perde. Non si riesce più trovare il significato di alcuni accadimenti, quando, a volte improvvisamente, se ne coglie il senso e il possibile sviluppo in nuove direzioni, in un ampliamento della prospettiva, inaspettata apertura dell’orizzonte. Si manifesta così l’entelechia (1) che sottende ogni esistenza e la sospinge, per una sorta di “necessità”, verso la realizzazione della propria “parte” nel tutto, secondo quel “divenire ciò che si è” che Jung chiamava “principio di individuazione”.
Quelle narrate in psicoterapia sono storie di crescita e sviluppo, ma anche di perdita e minorazione, nella riduzione di sé ai minimi termini, quelli che, con il senno di poi, appaiono veramente indispensabili al proprio essere al mondo.
In questi casi il terapeuta deve esercitare la propria “arte di levare”, come la chiamava Freud. Eliminare cioè quanto è di troppo e appesantisce soggettività che sembrano smarrirsi nelle definizioni di sé date dagli altri, nell’assunzione di ruoli e obiettivi che non sentono propri.
In ogni caso quelle della terapia sono storie di trasformazione, di trasmutazione alchemica della “nigredo” ,il brutto, il “piombo”, le pesantezze, in “albedo”, chiarore, luce che rasserena, conforta, conferisce senso e indica una direzione.
Nel corso di una psicoterapia “sufficientemente buona” (2), anche gli eventi passati e la storia familiare vengono ri-narrati in una chiave diversa sino alla comprensione e all’accettazione del loro “essere stati”, in una progressiva presa di distanza. Questo processo si deve compiere qualunque sia stata la “gravitas” che origini e passato abbiano avuto, qualunque peso e condizionamento abbiano costituito per la soggettività, in un disvelarsi dell’individualità e libertà di scelta di ciascuno.
La narrazione autobiografica nel contesto terapeutico stimola processi attraverso i quali il soggetto esplora se stesso e le vicende trascorse, mentre al contempo si progetta e si rinnova. Prospettiva e nuovi orientamenti, anziché la sola “archeologia”, rispondono del resto alla domanda che nelle attuali società complesse è più frequentemente posta alla psicoterapia, a causa di un crescente disorientamento nel definire identità sempre più “liquide” ed evanescenti.
Seguendo la scia di questi temi mi è sembrato praticabile l’idea di trasferire alcune “storie” a una scrittrice affinche’ ci lavorasse con un diverso sguardo, da una diversa professionalità e che, ascoltandole da me che le ho ascoltate da “loro”, le mie “pazienti” (e di pazienza ce ne vuole e ce ne è voluta), le rinarrasse ancora, arricchendole di ulteriori significati e della propria fantasia, in una sorta di gioco delle scatole cinesi.
Entrambe convinte che le storie curino e che si debba aver cura delle storie, fra un argomento e l’altro apriremo allora delle finestre sulla vita reale e racconteremo le vicende che hanno preceduto l’ingresso in terapia.
Simona,durante una conversazione occasionale, mi comunica che, nel suo muoversi da un luogo ad un altro ,e mi pare di capire sia esterno che “interno”, sa sempre da dove parte e dove deve arrivare, ma non conosce mai le strade che attraverserà, quale sarà l’itinerario dello spostamento.
Questa sua osservazione mi è sembrata una buona duplice metafora, sia della psicoterapia che della vita stessa. Di tutte le cose che hanno un inizio e una fine.
Due punti di orientamento e transizione nella vita sono certi: la nascita e la morte. Nessuno di noi sa, quando viene al mondo, come arriverà al capolinea. Non conosce i sentieri, più o meno impervi, le strade o, se fortunato, le autostrade, che attraverserà per muoversi dalla nascita alla morte. Allo stesso modo non conosce gli itinerari e la loro percorribilità quando inizia un amore, un nuovo lavoro, una psicoterapia, una qualunque altra cosa.
Da questo assunto di base decido dunque di mettermi in cammino con Simona verso la meta finale della stesura di un testo. Sappiamo, in una sinergia di intenti, dove intendiamo recarci, ma non conosciamo gli scenari e i “luoghi” che incontreremo durante il percorso,che ancora, in verità, ci è ignoto.
Ci mettiamo perciò in cammino con curiosità, desiderio di conoscenza, apertura ed ironia, virtù socratiche spesso dimenticate, indispensabili quando si affronta ogni nuovo viaggio.
1- L’entelechia è un principio metafisico, postulato da Aristotele, secondo il quale
ogni cosa vivente diviene secondo una propria interna necessità. Concetto poi
ripreso dal gesuita De Cassaude (vedi bibliografia) e da Ernst Bernhard,
allievo di C.G. Jung e fondatore dell’A.I.P:A. - Associazione Italiana di
Psicologia Analitica -. Secondo Bernhard, l’entelechia è il principio
organizzatore del processo di individuazione psichica, in quanto dotato di
progettualità prospettica.
Uploads
Papers by Alessandra Parroni
Allo stesso modo qualsiasi tipo di psicoterapia è principalmente ascolto, analisi e attribuzione di significati, ricostruzione e ampliamento dei contenuti tramite i quali ciascuno narra se stesso. E poi restituzione di un senso più ampio. Una tela sul cui ordito si lavora in due.
Dopo oltre vent’anni di lavoro come psicoterapeuta, ho sentito la necessità di una riflessone. Vent’anni di ascolto di tante storie.
Interpretare il racconto dell’altro vuol dire aggiungere a partire da sé, dalle proprie risorse, consce ed inconsce, incontrarsi in un comune processo associativo, cercare insieme nessi e risonanze. Le storie individuali sono inserite in contesti più ampi, culturali, sociali, storici, ma anche e soprattutto ancestrali. Spesso ne richiamano altre alle quali somigliano e che tutti conosciamo perché ci sono state tramandate dai miti e dalle fiabe e fanno parte della nostra memoria collettiva.
A volte sembra che il filo conduttore di una vicenda personale sia stato smarrito nei labirinti che la vita costringe ad attraversare e in cui ci si perde. Non si riesce più trovare il significato di alcuni accadimenti, quando, a volte improvvisamente, se ne coglie il senso e il possibile sviluppo in nuove direzioni, in un ampliamento della prospettiva, inaspettata apertura dell’orizzonte. Si manifesta così l’entelechia (1) che sottende ogni esistenza e la sospinge, per una sorta di “necessità”, verso la realizzazione della propria “parte” nel tutto, secondo quel “divenire ciò che si è” che Jung chiamava “principio di individuazione”.
Quelle narrate in psicoterapia sono storie di crescita e sviluppo, ma anche di perdita e minorazione, nella riduzione di sé ai minimi termini, quelli che, con il senno di poi, appaiono veramente indispensabili al proprio essere al mondo.
In questi casi il terapeuta deve esercitare la propria “arte di levare”, come la chiamava Freud. Eliminare cioè quanto è di troppo e appesantisce soggettività che sembrano smarrirsi nelle definizioni di sé date dagli altri, nell’assunzione di ruoli e obiettivi che non sentono propri.
In ogni caso quelle della terapia sono storie di trasformazione, di trasmutazione alchemica della “nigredo” ,il brutto, il “piombo”, le pesantezze, in “albedo”, chiarore, luce che rasserena, conforta, conferisce senso e indica una direzione.
Nel corso di una psicoterapia “sufficientemente buona” (2), anche gli eventi passati e la storia familiare vengono ri-narrati in una chiave diversa sino alla comprensione e all’accettazione del loro “essere stati”, in una progressiva presa di distanza. Questo processo si deve compiere qualunque sia stata la “gravitas” che origini e passato abbiano avuto, qualunque peso e condizionamento abbiano costituito per la soggettività, in un disvelarsi dell’individualità e libertà di scelta di ciascuno.
La narrazione autobiografica nel contesto terapeutico stimola processi attraverso i quali il soggetto esplora se stesso e le vicende trascorse, mentre al contempo si progetta e si rinnova. Prospettiva e nuovi orientamenti, anziché la sola “archeologia”, rispondono del resto alla domanda che nelle attuali società complesse è più frequentemente posta alla psicoterapia, a causa di un crescente disorientamento nel definire identità sempre più “liquide” ed evanescenti.
Seguendo la scia di questi temi mi è sembrato praticabile l’idea di trasferire alcune “storie” a una scrittrice affinche’ ci lavorasse con un diverso sguardo, da una diversa professionalità e che, ascoltandole da me che le ho ascoltate da “loro”, le mie “pazienti” (e di pazienza ce ne vuole e ce ne è voluta), le rinarrasse ancora, arricchendole di ulteriori significati e della propria fantasia, in una sorta di gioco delle scatole cinesi.
Entrambe convinte che le storie curino e che si debba aver cura delle storie, fra un argomento e l’altro apriremo allora delle finestre sulla vita reale e racconteremo le vicende che hanno preceduto l’ingresso in terapia.
Simona,durante una conversazione occasionale, mi comunica che, nel suo muoversi da un luogo ad un altro ,e mi pare di capire sia esterno che “interno”, sa sempre da dove parte e dove deve arrivare, ma non conosce mai le strade che attraverserà, quale sarà l’itinerario dello spostamento.
Questa sua osservazione mi è sembrata una buona duplice metafora, sia della psicoterapia che della vita stessa. Di tutte le cose che hanno un inizio e una fine.
Due punti di orientamento e transizione nella vita sono certi: la nascita e la morte. Nessuno di noi sa, quando viene al mondo, come arriverà al capolinea. Non conosce i sentieri, più o meno impervi, le strade o, se fortunato, le autostrade, che attraverserà per muoversi dalla nascita alla morte. Allo stesso modo non conosce gli itinerari e la loro percorribilità quando inizia un amore, un nuovo lavoro, una psicoterapia, una qualunque altra cosa.
Da questo assunto di base decido dunque di mettermi in cammino con Simona verso la meta finale della stesura di un testo. Sappiamo, in una sinergia di intenti, dove intendiamo recarci, ma non conosciamo gli scenari e i “luoghi” che incontreremo durante il percorso,che ancora, in verità, ci è ignoto.
Ci mettiamo perciò in cammino con curiosità, desiderio di conoscenza, apertura ed ironia, virtù socratiche spesso dimenticate, indispensabili quando si affronta ogni nuovo viaggio.
1- L’entelechia è un principio metafisico, postulato da Aristotele, secondo il quale
ogni cosa vivente diviene secondo una propria interna necessità. Concetto poi
ripreso dal gesuita De Cassaude (vedi bibliografia) e da Ernst Bernhard,
allievo di C.G. Jung e fondatore dell’A.I.P:A. - Associazione Italiana di
Psicologia Analitica -. Secondo Bernhard, l’entelechia è il principio
organizzatore del processo di individuazione psichica, in quanto dotato di
progettualità prospettica.