Papers by Aurelio Carella

La Bibbia può essere considerata letteratura per l’infanzia? Lo studio si interroga sul rapporto ... more La Bibbia può essere considerata letteratura per l’infanzia? Lo studio si interroga sul rapporto tra il testo biblico e i bambini, riconoscendo a questi ultimi tre ruoli: autori, personaggi, destinatari.
Autori, in quanto la forma scritta della Bibbia ha la sua origine in una tradizione orale, che sgorga dal contesto familiare in cui i bambini, mossi dalla curiosità per la vita, la storia e il mondo circostante, pongono domande agli adulti.
Personaggi, come la piccola Miriam o il giovane Davide, pronti a lasciare una peculiare e imprevedibile impronta alle storie in cui sono coinvolti. Destinatari, in quanto ascoltatori o lettori, che conferiscono a testi secolari interpretazione sempre nuove.
Per delineare questi tratti, lo studio si sofferma su tre generi letterari
presenti nella Bibbia, di cui si verifica la portata pedagogica: i racconti dell’Antico Testamento, affini al genere narrativo della fiaba, le poesie dei Salmi, che rivestono un ruolo di alfabetizzazione e formazione per una mente creativa, le parabole dei Vangeli, racconti aperti che stimolano l'immaginazione e l'immedesimazione.
Fonte dell’indagine, oltre ai testi citati, sono le numerose riscritture per l'infanzia della Bibbia, di cui si prendono in considerazione testi, formati e illustrazioni; nonché l’osservazione diretta dei bambini (tra i 5 e gli 11 anni), che sono stati coinvolti in laboratori di lettura.
Lo studio si inserisce così nell';ambito dell'ampliamento degli orizzonti della letteratura per l';infanzia, con riferimenti agli studi di Marianna Alfonsi, Antonio Faeti, Alberto Carli: la Bibbia può essere catalogata come una "fonte extraterritoriale";, un'isola del tesoro da esplorare con gli occhi dell'infanzia.
Riscriverla per i bambini e rileggerla con loro consente, tanto al testo quanto ai piccoli lettori, di continuare a crescere.
Si ringrazia la prof. Rossella Caso, docente di "Laboratorio di Pedagogia della Letteratura, del Gioco e dell'Animazione" presso Università degli Studi di Foggia, e relatrice del presente lavoro.

La fede è una dimensione dell’esperienza umana che appassiona, coinvolge integralmente la persona... more La fede è una dimensione dell’esperienza umana che appassiona, coinvolge integralmente la persona, influenza sia il suo pensare che il suo agire. La testimonianza della fede, con la parola e con le opere, costituisce talvolta un impegno primario del credente, assume i toni della battaglia, culminando nell’alternativa tra il rifiuto totale dell’altro e il dono di sé. L’esperienza religiosa s’incontra dunque a un certo punto con la violenza, commessa o subita. Nella scena della storia spesso i grandi monoteismi hanno ricoperto uno di questi due ruoli: carnefici o martiri.
È corretto legare in maniera immediata e diretta la dimensione religiosa con la violenza? Gli eventi storici di violenza commessa in nome di Dio sono dovuti a fattori contingenti o conseguono direttamente dalla fede? La religione ha fallito nel suo compito di essere strumento di riconciliazione e pace per l’umanità? Queste domande risuonano nel dibattito culturale odierno, anche in seguito al diffondersi di fondamentalismi religiosi (oggi frequentemente di matrice islamica) che richiamano alla mente le numerose guerre di religione che hanno segnato la storia europea.
Di tali interrogativi si è fatta carico la Commissione Teologica Internazionale (CTI), nel Documento del 2014 Dio Trinità, Unità degli uomini. Il monoteismo cristiano contro la violenza. Seguendone le tracce, il presente elaborato propone un approfondimento critico del legame tra cristianesimo e violenza religiosa. Il percorso svolto, pur in dialogo con altre discipline, è teologico: l’obiettivo è capire se e come la fede trinitaria e monoteista, con la sua prerogativa di essere apportatrice universale di salvezza, contenga in sé il germe della violenza. In particolare si analizzano varie figure del monoteismo trinitario per discernere le matrici teologiche della violenza e della pace.
Nel primo capitolo si delineano le caratteristiche specifiche del monoteismo cristiano: una rivelazione particolare e graduale di Dio, quella dell’AT, finalizzata a una salvezza universale; i lineamenti paterni di Dio, tratteggiati da Gesù Cristo, mediatore della Nuova Alleanza; il pensiero dell’unità in Dio, nella cristologia e nella trinitaria dei primi secoli.
Nel secondo capitolo si presenta il confronto tra la teologia cristiana e la teoria filosofico-politica di un rapporto intrinseco tra monoteismo e violenza, che ha suscitato in diversi pensatori contemporanei nostalgie del politeismo antico.
Nel terzo capitolo si tratta la missione della Chiesa, sacramento di unità per il genere umano, nella quale la pace di Cristo si attua attraverso le note della comunione e nel martirio.

La filosofia prima è scienza dell’essere, Avicenna ne fissa lo statuto epistemologico. L’esistent... more La filosofia prima è scienza dell’essere, Avicenna ne fissa lo statuto epistemologico. L’esistente è il soggetto della filosofia prima mentre le cause sono un oggetto d’indagine di questa disciplina, come oggetto d’indagine della disciplina sono tutte le proprietà dell’esistente: in necessario e il possibile, l’uno e il molteplice, la potenza e l’atto. Tra gli oggetti d’indagine della filosofia prima rientra il divino, inteso da Avicenna come causa prima e necessariamente esistente.
L’opera di Avicenna si trova alla convergenza della tradizione aristotelica (studio dell’essere in quanto essere, studio delle quattro cause che rimangono forma, materia, agente, fine), della tradizione neoplatonica (dio considerato come unico, sorgente, principio di emanazione e fine ultimo del ritorno, causa agente prima e fine ultimo, ciò assume valore morale oltre che ontologico). Ovviamente Avicenna si muove nel seno della cultura islamica, con la fede in un dio unico, creatore e provvidente (Avicenna parlerà della generosità come fine del divino).
Le cause sono studiate in relazione all’esistenza. Questo sarà pienamente evidente per quanto riguarda la causa agente, che è causa dell’esistente e si distingue dalla causa motrice che è causa del moto.
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Papers by Aurelio Carella
Autori, in quanto la forma scritta della Bibbia ha la sua origine in una tradizione orale, che sgorga dal contesto familiare in cui i bambini, mossi dalla curiosità per la vita, la storia e il mondo circostante, pongono domande agli adulti.
Personaggi, come la piccola Miriam o il giovane Davide, pronti a lasciare una peculiare e imprevedibile impronta alle storie in cui sono coinvolti. Destinatari, in quanto ascoltatori o lettori, che conferiscono a testi secolari interpretazione sempre nuove.
Per delineare questi tratti, lo studio si sofferma su tre generi letterari
presenti nella Bibbia, di cui si verifica la portata pedagogica: i racconti dell’Antico Testamento, affini al genere narrativo della fiaba, le poesie dei Salmi, che rivestono un ruolo di alfabetizzazione e formazione per una mente creativa, le parabole dei Vangeli, racconti aperti che stimolano l'immaginazione e l'immedesimazione.
Fonte dell’indagine, oltre ai testi citati, sono le numerose riscritture per l'infanzia della Bibbia, di cui si prendono in considerazione testi, formati e illustrazioni; nonché l’osservazione diretta dei bambini (tra i 5 e gli 11 anni), che sono stati coinvolti in laboratori di lettura.
Lo studio si inserisce così nell';ambito dell'ampliamento degli orizzonti della letteratura per l';infanzia, con riferimenti agli studi di Marianna Alfonsi, Antonio Faeti, Alberto Carli: la Bibbia può essere catalogata come una "fonte extraterritoriale";, un'isola del tesoro da esplorare con gli occhi dell'infanzia.
Riscriverla per i bambini e rileggerla con loro consente, tanto al testo quanto ai piccoli lettori, di continuare a crescere.
Si ringrazia la prof. Rossella Caso, docente di "Laboratorio di Pedagogia della Letteratura, del Gioco e dell'Animazione" presso Università degli Studi di Foggia, e relatrice del presente lavoro.
È corretto legare in maniera immediata e diretta la dimensione religiosa con la violenza? Gli eventi storici di violenza commessa in nome di Dio sono dovuti a fattori contingenti o conseguono direttamente dalla fede? La religione ha fallito nel suo compito di essere strumento di riconciliazione e pace per l’umanità? Queste domande risuonano nel dibattito culturale odierno, anche in seguito al diffondersi di fondamentalismi religiosi (oggi frequentemente di matrice islamica) che richiamano alla mente le numerose guerre di religione che hanno segnato la storia europea.
Di tali interrogativi si è fatta carico la Commissione Teologica Internazionale (CTI), nel Documento del 2014 Dio Trinità, Unità degli uomini. Il monoteismo cristiano contro la violenza. Seguendone le tracce, il presente elaborato propone un approfondimento critico del legame tra cristianesimo e violenza religiosa. Il percorso svolto, pur in dialogo con altre discipline, è teologico: l’obiettivo è capire se e come la fede trinitaria e monoteista, con la sua prerogativa di essere apportatrice universale di salvezza, contenga in sé il germe della violenza. In particolare si analizzano varie figure del monoteismo trinitario per discernere le matrici teologiche della violenza e della pace.
Nel primo capitolo si delineano le caratteristiche specifiche del monoteismo cristiano: una rivelazione particolare e graduale di Dio, quella dell’AT, finalizzata a una salvezza universale; i lineamenti paterni di Dio, tratteggiati da Gesù Cristo, mediatore della Nuova Alleanza; il pensiero dell’unità in Dio, nella cristologia e nella trinitaria dei primi secoli.
Nel secondo capitolo si presenta il confronto tra la teologia cristiana e la teoria filosofico-politica di un rapporto intrinseco tra monoteismo e violenza, che ha suscitato in diversi pensatori contemporanei nostalgie del politeismo antico.
Nel terzo capitolo si tratta la missione della Chiesa, sacramento di unità per il genere umano, nella quale la pace di Cristo si attua attraverso le note della comunione e nel martirio.
L’opera di Avicenna si trova alla convergenza della tradizione aristotelica (studio dell’essere in quanto essere, studio delle quattro cause che rimangono forma, materia, agente, fine), della tradizione neoplatonica (dio considerato come unico, sorgente, principio di emanazione e fine ultimo del ritorno, causa agente prima e fine ultimo, ciò assume valore morale oltre che ontologico). Ovviamente Avicenna si muove nel seno della cultura islamica, con la fede in un dio unico, creatore e provvidente (Avicenna parlerà della generosità come fine del divino).
Le cause sono studiate in relazione all’esistenza. Questo sarà pienamente evidente per quanto riguarda la causa agente, che è causa dell’esistente e si distingue dalla causa motrice che è causa del moto.